La sveglia suona tutti i giorni alle due di notte: per prima cosa si prepara l’impasto, poi si fanno le forme. Verso le tre si impasta di nuovo e, una volta che il forno a legna è a temperatura (ci vogliono decenni di esperienza per capirlo), si cuoce. Alle sei il pane è pronto per essere spedito ma è già ora di fare i biscotti: si impastano a mano, si stirano con la sfogliatrice, si tagliano, si dispongono sulle lame e poi dritti in forno.
All’apertura arrivano i primi clienti e, in poco tempo, c’è bisogno di altro pane. A fine mattinata o nel primo pomeriggio c’è magari l’appuntamento con il commercialista, in banca o con il rappresentante. Qualche ora libera e poi si torna a letto, per poi ricominciare daccapo.
Ritmi di cent’anni fa quelli di Giacomo Bittante, classe ’98 di Villa d’Asolo, che esattamente un anno fa, ad agosto, in piena pandemia, ha preso le redini del panificio di famiglia, prima gestito dal padre e prima ancora, dal nonno. “Mi piace lavorare di notte – afferma – c’è un bel silenzio”.
Le origini della tradizione risalgono a quando la frazione era un centro abitato piuttosto povero e il baratto era una forma di commercio ancora diffusa, quando ancora si teneva un libro contabile per controllare entrate e uscite sotto forma di scambi e favori.
“Mio nonno faceva il pane di notte, alla mattina prendeva la bicicletta e andava a lavorare in fabbrica a Castelfranco. Quando finiva, tornava a casa e si dedicava ai campi, mangiava e andava a letto. Fare il contadino era ciò che gli piaceva di più ma, avendo otto figli, rendeva troppo poco” racconta Giacomo, che dice di sentirsi molto legato a questi racconti.
All’interno del panificio, che è stato ridotto in dimensioni per dare ulteriore spazio al laboratorio, vi è ancora il bancone originale di legno, con le insenature per le sigarette sciolte e le monete.
È forse proprio questo legame con il passato della comunità di Villa d’Asolo il segreto delle ricette custodite dal locale storico del basso Asolano. Giacomo, affiancato dal papà Giuseppe e dalla mamma Donatella, cuoce, lavora, il pane, i biscotti e, quando è il momento, anche altri dolci, panettoni e focacce, con un’attenzione specifica nei confronti del taglio e del peso delle singole unità, che devono rispettare la forma e i parametri autentici.
“Un forno a legna come il nostro ha precise regole – afferma -. I nostri clienti sanno già che abbiamo pochi formati e vengono a prenderli da lontano”.
Come spesso accade per le attività rilevate dai giovani, Giacomo ambisce a trovare un compromesso tra mantenimento e leggera innovazione: “Ho finito l’alberghiero cinque anni fa, ho provato a lavorare in qualche cucina poi sono andato a lavorare per un’azienda di dolci. Non era difficile – racconta Giacomo -. Quando mio padre è andato in pensione mi ha chiesto “Lo vuoi”? e io ho detto di sì. È stata una scelta ponderata: ognuno ha il proprio mestiere, questo è il mio“.
“Certo ce n’è ancora tanta di strada – ammette Giacomo, che conosce le lavorazioni da quando aveva dieci anni -, alla mattina quando si inforna per la prima volta bisogna mettere della legna più grossa, né umida né secca, in modo che il forno si secchi ma, al contempo, non perda umidità. Solo mio padre sa scegliere la legna giusta. E poi, il giorno è più umido della notte: per questo il pane viene meglio. Sono i dettagli dell’esperienza dell’essere un artigiano”.
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