Nino Baggio, chef asolano e ricercatore di tesori gastronomici tra il Grappa, l colli asolani e la valle del Piave

 

Dal 2018 il Massiccio del Grappa è un corsa per entrare nel programma Mab – “Man and the Biosphere” dell’Unesco, che si fonda sullo sviluppo sostenibile. Le Riserve della Biosfera sono luoghi dove lo sviluppo socioeconomico e la tutela degli ecosistemi sono andati di pari passo, creando un ambiente integrato tra uomo e natura. Sono tante le iniziative che il Comitato, guidato da Ipa Terre di Asolo e Monte Grappa, sta portando avanti per sostenere la candidatura.

Anche la ristorazione fa la sua parte per promuovere i tesori gastronomici del Massiccio del Grappa, dei colli asolani e della fascia pedemontana in generale. Tra i più attenti ricercatori dei sapori che nascono in questa riserva c’è Nino Baggio, lo chef patron della “Locanda Baggio”, in località Casonetto, nel comune di Asolo.

Nino, la tua ricerca di prodotti dove ti porta e cosa spinto a scovare, tipo in questa stagione autunnale?

“Siamo situati in un territorio ricco di piccoli produttori, da un po’ di anni a questa parte tanti sono tornati a coltivare le terre e ho la fortuna di pescare in queste aziende. Dal formaggio di malga, che prendiamo dalla Malga Gasparini del Grappa, ma ci fornisce anche burro e qualche volta anche la carne della vacca Burlina. Se veniamo più giù, troviamo a Borso del Grappa un’azienda che coltiva il biso di Borso ma anche altre verdure che utilizziamo continuamente, senza pesticidi, senza concimi. Son due giovani molto validi. Se torniamo verso le nostre parti, a Monfumo, c’è l’azienda agricola di due fratelli che producono il Morlacco e il burro, ma prendo anche il loro latte con cui facciamo la panna. Andando un po’ più distanti, passando il Piave, a Segusino c’è un agriturismo che alleva tutti gli animali da cortile, cioè faraone, oche, anatre e polli. In questo periodo, proprio, ci danno le oche”.

La qualità dei piccoli fornitori locali, allora, è una carta vincente per attirare i buongustai, stranieri e italiani? E speriamo che soprattutto gli stranieri tornino, dopo le difficoltà del momento.

Loro cercano proprio i prodotti di tradizione. Chiedono sia i piatti del luogo che i vini locali, e non prodotti che possono trovare anche in altre parti. Dal formaggio di malga alla faraona allevata noi, oppure i salumi. A questo proposito noi ci riforniamo da un’azienda di Castelcucco, un giovane che si è messo in proprio e che fa degli ottimi insaccati in genere. Chi viene da noi cerca queste cose tipiche venete“.

Quindi la ristorazione mette in moto l’economia locale, scoprendo le produzioni di giovani agricoltori. Tu, invece, cosa mi dici per quanti riguarda i giovani chef che entrano nelle cucine dei ristoranti? Come la vedi questa ultima generazione?

Occorre avere molta pazienza. Rispetto alla nostra generazione, bisogna attenderli qualche anno in più. Per un semplice motivo: una volta si partiva, come nel mio caso ma credo anche di tanti altri miei colleghi, proprio dal disossare le carni, fare esperienza in macelleria, sapere come pulire una gallina ad esempio. Adesso no. I giovani arrivano in cucina, ma non sanno quante gambe ha una gallina, perché sono già tutte selezionate la maggior parte. Noi abbiamo la fortuna, appunto, di avere questi piccoli produttori che ci forniscono le carni che lavoriamo e così i miei giovani cuochi imparan. Ma ci vuole qualche buon anno prima di mettere direttamente un ragazzo sul fuoco, ai fornelli”.

 

(Fonte: Cristiana Sparvoli © Qdpnews.it).
(Foto e video: Qdpnews.it © riproduzione riservata).
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