Riflettere sul concetto di pari opportunità e inclusione, portando esempi concreti dal mondo dello sport e del rugby in particolare, il tutto senza rinunciare alla giusta dose di ironia. Questo l’obiettivo della serata “Uniti più forti” svoltasi giovedì, al Teatro Duse di Asolo per presentare alla cittadinanza la neocostituita Commissione Intercomunale Pari Opportunità̀ formata dalle rappresentanti di dieci comuni della Pedemontana.
Gli interventi delle autorità, fra cui il presidente regionale del CONI DinoPonchio, Valentina Cremona, in rappresentanza della Commissione Pari opportunità della Regione Veneto, il consigliere provinciale ClaudioSartor e OlgaRilampa, presidente della Commissione Pari Opportunità Provincia di Treviso, hanno introdotto la serata intervallata dallo spettacolo musicale “HoStress” firmato dal trio (tutto al femminile) “Le Cikale” del collettivo Pem Habitat Teatrali.
La Commissione: volti e progetti in corso
Rosy Silvestrini assessore del Comune di Asolo (capofila del progetto), l’assessore Sonia Rech in qualità di vicepresidente (Monfumo), Chiara Dal Moro (Borso del Grappa), Alessandra Ballestrin (Cavaso del Tomba), il vicesindaco Antonella Forner e la consigliera Tatiane Foscarini (Castelcucco), l’assessore Anna Paola Mazzarolo(Fonte), l’assessore Alida Vettoruzzo (Maser), l’assessore Giovanna Botter (Pieve del Grappa), il vicesindacoMaura Baron (Possagno) e il vicesindaco Stefania Ziliotto (San Zenone degli Ezzelini) sono i membri della Commissione che si promette di agire come “sentinella” nell’ambito delle pari opportunità in un territorio di oltre 50 mila abitanti.
“Il nostro intento è quello di dialogare e collaborare con tutta la rete di attori che a diverso titolo si occupano di pari opportunità, con i cittadini, il mondo del lavoro, dello sport, del volontariato e della scuola – ha commentato la presidente Silvestrini -. E proprio su quest’ultimo fronte stiamo attualmente sviluppando, come primo progetto, un percorso sul tema dell’educazione all’affettività rivolto agli studenti della scuola media in sinergia con i quattro Istituti Comprensivi ricompresi nell’ambito territoriale della Commissione (IC di Asolo, Pieve del Grappa, San Zenone e Maser)”.
“Il concetto di parità, è bene ricordarlo, non riguarda solo le donne – prosegue la presidente – non è una questione numerica ma una questione di responsabilità sociale che va condivisa se vogliamo raggiungere obiettivi di interesse comune come città più sostenibili, salvaguardia dell’ambiente, giustizia e inclusione e il primo fondamentale passo è una rappresentanza ancora maggiore delle donne nei ruoli apicali siano essi in ambito sociale, economico o politico”.
Sport e inclusione: l’esempio del rugby
Allo spettacolo “HoStress”, che fra sketch esilaranti e ritornelli musicali smonta alcuni stereotipi di genere, è seguito il talk con Sandro Trevisan, presidente regionale della Federazione Rugby, Giulia Bragante, atleta di Serie A Élite del Villorba Rugby e la dottoressa Chiara Franchin, coordinatrice dell’Abi Rugby, progetto di rugby integrato che ha già coinvolto 110 ragazzi con disabilità intellettiva e 40 facilitatori.
“Questi ragazzi rappresentano la fascia sociale più debole che al contrario di altre disabilità non consente di essere completamente autosufficiente – ha spiegato Trevisan – Nelle due uscite settimanali riusciamo a portare fuori da casa o dai centri questi ragazzi e ragazze coinvolgendoli nelle attività del club di rugby dove trovano stimoli, motivazione e opportunità di crescita personale che si traducono in un miglioramento netto della loro qualità di vita. Abbiamo una grande voglia di potenziare il progetto e siamo a disposizione dell’Ulss2 e delle associazioni del territorio per coinvolgere un numero sempre maggiore di partecipanti”.
Come sottolineato dal presidente Trevisan e dalla dottoressa Franchin, sul campo da rugby non si parla di disabilità (dove il prefisso “dis” ha una valenza peggiorativa), semmai si parla di “abilità diversa” perché il cambiamento culturale passa anche per il linguaggio.
“Il rugby integrato è un’attività sportiva a cui tutti possono partecipare, indipendentemente dal livello di abilità e dall’età – precisa Franchin -: questo per noi significa inclusione, che è l’esatto contrario di assistenzialismo”. L’11 febbraio a Rubano, in provincia di Padova, il 1° giugno a Possagno e il 9 giugno a Mogliano rientrano fra i prossimi raggruppamenti nel calendario di attività dell’Abi Rugby.
Il rugby femminile: tante le conquiste ottenute, ma la strada da fare è ancora tanta
“Il rugby femminile in Italia è un miracolo – ha spiegato il presidente Trevisan – dove le atlete hanno brillato a volte molto di più dei colleghi maschi superandoli anche nel ranking: pensiamo che la nazionale italiana femminile è al quinto posto nel ranking, ben più alto di quella maschile. Inoltre, lo dico per esperienza, i club che hanno all’interno anche una squadra femminile funzionano molto meglio e in generale le atlete hanno una determinazione che è di grande ispirazione per i colleghi uomini. L’obiettivo che ci poniamo come federazione è di aumentare sempre di più il numero delle squadre femminili moltiplicando l’opportunità delle donne di avvicinarsi a questo sport”.
La presenza di poche squadre sul territorio per molte rugbiste significa dover macinare anche centinaia di chilometri per fare allenamento. Lo sa bene Giulia Bragante, 33 anni, atleta di serie A e audioprotesista con una laurea all’Università di Padova, percorso di studi che è riuscita a conciliare con sette allenamenti a settimana.
“C’è stato un periodo in cui facevo anche 280 km al giorno per allenarmi – racconta – Il tema dell’inclusione mi sta particolarmente a cuore, e io stessa, aiutando le persone a recuperare l’udito, me ne occupo oggi giorno. Il tema della parità di genere? Nel rugby è molto sentito. Anni fa il fatto stesso che una donna praticasse questo sport era impensabile. Guardandoci indietro abbiamo fatto tanta strada in ambito sportivo, ma c’è ancora tanto, tanto lavoro da fare. Penso al tema della retribuzione (quella delle rugbiste che giocano ad alto livello è ancora inferiore rispetto alla media maschile), ma anche alla tutela della maternità, giusto per citare due temi ‘caldi’”.
“Io mi sono costruita in parallelo una professionalità ma penso a delle colleghe in nazionale che sono in giro anche per cento giorni l’anno e che non hanno potuto fare altrettanto. Gli stipendi non consentono di vivere solo di quello. Dietro a tutto ciò che chiaramente un tema di visibilità agli occhi dei grandi sponsor puntano principalmente sul rugby maschile. Ed è un peccato andare a certe partite, anche importanti, di rugby femminile e vedere lo stadio semivuoto. Ma noi continueremo a farci sentire, a dare il massimo dentro e fuori campo, e chissà che un domani il rugby femminile possa riempire davvero il Millennium Stadium”.
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