Anche se si parla di confini, quella del sentiero 1753 non è una storia che traccia delle differenze, ma che anzi simboleggia un dialogo tra due popoli vicini. Una conversazione che si svolse (e, in parte, si svolge ancora) non tanto a parole, quanto con la pietra, che nonostante il passare dei secoli è ancora in grado di raccontare un aspetto così significativo per la storia dell’Italia.
Pietra in tempo di pace, con i monoliti che ricordano i margini del confine; pietra in tempo di guerra, con le trincee, i bunker e le fortificazioni costruite per controllare il nemico.
Diversi anni fa, al margine tra Pusteria e Comelico, tra Padola e Moso, sul Passo Monte Croce, degli appassionati di storia locale e della Grande Guerra si imbatterono in uno strano capitello: riportava una data, un numero e una lettera.
La volontà di scoprirne l’origine da parte di una cooperativa che si occupa proprio di valorizzazione del territorio e di ricerche storiche, guidata dall’architetto paesaggista Daniela Zambelli, consentì di approfondire le ricerche, anche grazie alla collaborazione di enti dalla Regione Veneto, dal Trentino e dall’Austria: ne uscì una storia ben più ampia di quanto gli storici potessero immaginare.

“Durante un progetto di ricerca sulla Prima guerra mondiale abbiamo cominciato a vedere che oltre alle trincee, che già conoscevamo e ai vari resti che stavamo rilevando, apparivano questi cippi” ci spiega l’architetto Zambelli, mentre percorriamo questo interessante sentiero affrontabile solo a piedi, che in un saliscendi di trincee e ruscelli offre un’alternativa più intrigante alla classica salita a Nemes.

Per capire le motivazioni di quest’opera bisogna tornare indietro nei secoli, sul confine mal tracciato tra Repubblica di Venezia e Tirolo: quando una mandria di capi si recava al pascolo in quell’area, poteva capitare che sparisse o che venisse reclamata dall’una o dall’altra parte. Questo dava adito ad aspre contestazioni, che qualche volta finivano in escandescenze violente tra veneti e tirolesi.

Le turbolenze, in quella zona, erano talmente frequenti, così come in altre zone, che il Serenissimo doge di Venezia Francesco Loredàn e l’imperatrice Maria Teresa d’Austria concordarono nel 1750 di tracciare una lunghissima linea che rappresentasse il confine tra i loro due Stati, dall’Adige all’Adda, dal Brenta all’Isonzo.

Come si deduce anche dalla morfologia del Sentiero 1753, la discussione non fu semplice e i due regni furono costretti ad accontentarsi l’un l’altro, scendendo a compromessi nella definizione dei luoghi di passaggio del confine.

L’opera fu a dir poco monumentale e la frequenza delle pietre di confine lungo il sentiero ne è la prova: sulla mappa dell’epoca, allegata al documento originale ed esposta al periscopio che si trova all’inizio del sentiero per Nemes, indica una pietra ogni quattrocento metri, numerata gradualmente con una lettera e un numero.

Anche la fattura delle pietre è particolarmente interessante e mostra un grande approccio alla diplomazia: da una parte erano state apposte delle lastre con il simbolo dello scudo asburgico, mentre dall’altra il glorioso Leone di Venezia. Oggi queste lastre sono andate perdute, anche se un occhio attento può ancora individuarle, esposte su qualche edificio privato, magari inconsapevole della loro provenienza. A rimanere intatte sono soltanto la data e la numerazione del capitello.
Lungo il sentiero ci si imbatte anche in diversi bunker risalenti all’epoca fascista e quindi non riconducibili alla storia del confine vero e proprio, ma elementi che ancora una volta rendono evidente l’aspetto strategico di questo confine.

I bunker sono incredibilmente grandi e labirintici all’interno: un tempo erano completamente avvolti da strati mimetici, filo spinato e boscaglia, in modo da renderli pressoché invisibili. Su uno di essi, saldato alla parete, è stato posizionato uno dei monoliti di confine ritrovati in quell’area.

“Possiamo dire che su questo lungo confine, noi non abbiamo solo la storia del 1753: parte invece dal periodo romano, da cui risale la prima stratificazione. Qui passava una delle vie romane che portavano nell’Alta Europa. È interessante capire come sia diventato un confine tra Regioni, mentre prima era un confine tra Stati”.
Dopo sei anni di lavoro e un’inaugurazione in questa primavera, il Sentiero 1753 è un progetto aperto e c’è ancora moltissimo da fare: da Kartisch, primo Comune tedesco procedendo dal Monte Croce sul sentiero, il confine si estende ulteriormente e la stessa cosa capita nel verso opposto, volendo addirittura fino al Lago di Garda.

Il sentiero, che oggi è percorribile ma non proprio semplice per una persona non in forma, potrà venire ulteriormente valorizzato, magari con un ponte tibetano che attraversi una delle gole invece che scendere e poi risalire. Ricchissimo anch’esso di scorci naturali mozzafiato, il 1753 porta a scoprire anche dei segni di confine, ancora oggi indicazioni catastali, scolpiti su grandi rocce.

Al Passo Monte Croce, ad attirare lo sguardo degli automobilisti c’è un edificio a forma e a funzione di periscopio, che consente cioè di vedere uno dei monoliti dalla parte opposta della valle. Questo è l’infopoint dove osservare anche la cartina, fotocopia dell’originale, che indica la posizione dei cippi di confine.

“Abbiamo realizzato tutto questo progetto grazie all’aiuto di due gruppi di ricerca, uno del Comelico e uno del Tirolo – spiega Daniela, che è davvero entusiasta della riuscita del progetto – Abbiamo dovuto ragionare in sinergia con tre Regioni diverse e chiedere concessioni a diversi privati.

L’Associazione Turistica di Sesto ha subito risposto attivamente, così come poi ha fatto Kartisch. Abbiamo considerato prima di tutto il piano paesaggistico, quello culturale e soltanto poi quello turistico, col principio di discussione tra le comunità che era poi quello che ha creato anche il confine del 1753 in origine”.

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