Quando quel ponte a forma di ypsilon venne distrutto, a Treponti di Cimagogna, i cittadini di Auronzo si trovarono intrappolati dall’invasore: senza quell’attraversamento la maggior parte di loro non avrebbe potuto raggiungere i parenti già fuggiti a Sondrio o in altre località in mano alle forze italiane. Gli austriaci avevano scelto di chiudere quel fronte, abbattendo l’unico punto d’accesso alla valle che da Lozzo va verso Auronzo di Cadore e verso il Comelico, sopra la confluenza tra Ansiei e Piave.
Era il 1917 e, sebbene il centro del paese di Auronzo non fosse una zona di combattimento come invece era la prima linea in alta quota, gli effetti della guerra avevano investito il paese come il peggiore degli inverni. È in questo contesto che la storia registra un piccolo-grande atto di pace, che è bello ricordare a Natale.
Nella frazione di Cella, la prima del centro abitato di Auronzo, non lontano dall’antica chiesetta dedicata a Santa Caterina e da quella che oggi è la diga, abitava una bambina che tutti chiamavano “Ciuta” (abbreviazione di Lucia). La piccola aveva una bambola di pezza, che teneva con cura e che portava ovunque con sé: a cucirgliela era stata sua madre, con grande pazienza e attenzione. Un giorno i suoi fratelli scelsero di farle un dispetto: le rubarono la bambola e, mettendosi a litigare su chi dovesse tenerla, la strapparono e la fecero a pezzi.
Quando vide il suo balocco distrutto, Ciuta si mise a piangere disperatamente. Per quanto tutti i conoscenti e i vicini fossero dispiaciuti, sentendo quel pianto straziante e ininterrotto, nessuno era nelle condizioni di poter rimediare, tantomeno andando a comprare una bambola nuova.
In quel momento, sulla strada principale, si muoveva a cavallo un ufficiale austriaco: nonostante i pensieri della battaglia, l’ufficiale si interessò al pianto disperato della bambina e si avvicinò per controllare. Smontò dal suo destriero (che potremmo immaginare bianco) e contemplò la bambola lacerata: in qualche modo capì dal balbettio della bambina quel che era successo e rimontò in sella dicendo qualcosa nella sua lingua.
L’ufficiale austriaco tornò poco dopo: con la stessa eleganza smontò dalla sella e consegnò alla piccola una splendida bambola di porcellana, che brillava come un diamante, tanto era preziosa e delicata. L’ufficiale l’aveva acquistata regolarmente al negozio “Corte”, che si trovava vicino alla Piazza di Santa Giustina, in un edificio che è ancora elegantemente in piedi e che è stato una cartoleria per molto tempo.
Ciuta, che ha raccontato quest’episodio in una classe elementare, una vita più tardi, ha affermato di non aver mai provato la stessa felicità in vita sua. La bambola di porcellana, da quel giorno, è stata conservata al sicuro, all’interno della sua casa: Ciuta non l’ha mai nemmeno fatta vedere a nessuno, poiché era convinta che l’invidia degli altri potesse rovinare la porcellana.
Un’altra testimonianza, di una signora di Padola (in Comelico) classe 1933, riporta un altro aneddoto più recente interessante legato a una bambola, questa volta di plastica: “Avevo ricevuto questa bella bambola dai parenti dell’America. Ero così felice – racconta, – Notai soltanto dopo un po’ che aveva una gamba rotta e a malapena riattaccata: dentro la bambola gli zii ci avevano messo il caffè in grani, che altrimenti sarebbe andato perso”. La signora racconta di aver comunque mantenuto al sicuro il giocattolo fino al proprio matrimonio, quando il marito le ha chiesto di buttarla via.
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