Un tempo, le aree umide non piacevano a nessuno. Erano luoghi dove non si coltivava nulla, dove si faticava a far pascolare le bestie, dove proliferavano insetti e malattie. Erano, insomma, come le pozze di fango che vengono evitate lungo un sentiero.
Nessuno avrebbe mai potuto immaginare che dal 1971 in poi le aree umide sarebbero state protette per la loro valenza di biodiversità. Quando sono caratterizzate da una massiccia presenza d’acqua stagnante a bassa temperatura, questi siti si possono definire torbiere.
Il fenomeno dell’ultima glaciazione ha agito in modo particolare, trascinando con il ritiro dei ghiacci la biodiversità sia in quota che in longitudine: sulle Alpi, per esempio, abbiamo esempi di torbiera simili a quelli che potremmo vedere in Finlandia.
Uno degli esempi più belli, in Veneto, si trova a Danta di Cadore, non lontano dal Passo Sant’Antonio e visitarlo significa introdursi in un’oasi naturale a tratti magica, capace di mostrare abitualmente fenomeni che altrove sono rarissimi.
Il sito è protetto dalla Rete Natura 2000, mantenuto come un gioiello dal Comune, sebbene debba far fronte, come sempre, all’incapacità di alcuni visitatori di stare alle regole. Le Torbiere di Danta però sono anche un luogo severo, che in qualche modo è in grado di punire chi non sa rispettare l’ambiente e il suo equilibrio: l’invito è quello di seguire le passerelle che lo attraversano senza mai spingersi oltre il margine con la palude e di non toccare piante e fiori, poiché ve ne sono anche di velenosi.
La torbiera si divide in tre parti, alta, bassa e boscosa, e per percorrerla tutta ci si impiega oltre un paio d’ore: è una passeggiata da fare in modalità lenta, fermandosi di tanto in tanto a scattare una foto al panorama o a contemplare un dettaglio. Visitare questo sito con una guida naturalistica appassionata, come Maria Elisabetta De Gerone, è però un’esperienza del tutto diversa, capace di svelare quei segreti che, altrimenti, calpesteremmo ignari.
I molinieti sono forse la caratteristica più evidente della torbiera bassa: tra i cespi di queste piante colorate notiamo gli sfagni, che sono particolari muschi di colore rossiccio in grado di portare acqua pari a venti volte il loro peso, quasi come fossero delle spugne. Grazie alla quantità d’azoto e metano presente nel terreno, sotto i canneti, crescono decine di specie di orchidea (solo nel Bellunese sono oltre 70).
Ai margini delle passerelle troviamo anche la primula farinosa, dall’odore pungente che le ha fatto guadagnare il nomignolo di “piscio d’asino”, l’andromeda polifolia, la drosera, la cui presenza ogni anno è indebolita forse dal cambiamento climatico, la genziana minore, varie piante carnivore e il colchico.
Quest’ultimo è velenosissimo per l’uomo e per gli animali da cortile, ma spesso viene (letalmente) scambiato per lo zafferano. Proprio per questo motivo, sui prati di montagna, le giovani vacche al pascolo dovrebbero sempre essere accompagnate da quelle più esperte.
Rispetto alla strada che porta in paese, per raggiungere Palù Mauria, che è forse la torbiera più ricca di piante rare, bisogna scendere per una mezz’oretta seguendo un sentiero che attraverso fitti boschi popolati dagli scoiattoli e altre creature: nonostante se ne sia preso merito esclusivo il Trentino-Alto Adige, è anche in questi boschi che molti liutai vengono a prendere il legno adatto per i propri strumenti.
Nell’affrontare la passeggiata, in qualsiasi stagione, è inevitabile riflettere sul cambiamento climatico: si può osservare come gli equilibri della fauna vengano parzialmente scombussolati da questo fenomeno. Alle porte dell’inverno, per esempio, le lepri e gli ermellini cambiano il loro manto, ma la scarsità di neve le rende macchie bianche nella foresta ancora rosseggiante.
Per riuscire ad adattarci al nuovo ordine della natura, la prima cosa da fare è assumere la consapevolezza di ciò che possiamo fare noi di buono in visita lungo il sentiero di una torbiera: osservare senza toccare, senza raccogliere i funghi per poi distruggerli, tenere al guinzaglio i nostri cani affinché non rechino disturbo alla fauna selvatica, camminare sui sentieri, senza calpestare le aiuole incontaminate del bosco.
Anche in passato, quando ce n’erano in quantità, chi raccoglieva le erbe officinali, come spiega la professoressa De Gerone, seguiva la filosofia del “Una te tole, una te lase”, che in dialetto significa “una la prendi, una la lasci”.
Un’esperienza didattica alle Torbiere di Danta, per esempio, insegna che alcune piante necessitano di vent’anni prima di “trovare il coraggio” di fiorire e svilupparsi, coi suoi colori e le sue proprietà uniche. Chi avrebbe il coraggio di strappare via un’impresa così coraggiosa?