Catturare le vipere a mani nude: usanze e metodi di un tempo (da non imitare)

Ricordate quei “kit antivipera” da giovani esploratori? con all’interno laccio emostatico, siringhe varie e disinfettanti? Oggi sono più difficili da trovare e anzi, per averne in quantità, occorre ordinarne su internet dall’estero.

Eppure, ancora oggi una delle paure più comuni quando si va in montagna è quella di essere morsi da una vipera. Nell’immaginario collettivo qualsiasi essere strisciante, specie se avvistato tra i sassi o al sole, viene etichettato come una vipera. In realtà, l’incontro con un aspide non è più così comune e nella maggior parte dei casi il veleno del rettile non risulta letale per un uomo adulto in salute (seppur pericoloso, intendiamoci).

In termini statistici, è sicuramente più probabile una caduta o un incidente stradale durante il tragitto rispetto a un morso fatale, eppure l’idea di una serpe che ci morda alle caviglie mentre percorriamo un sentiero continua a fare tanta, ma tanta paura.

I serpenti di oggi, le vipere di ieri

I nostri “vecchi” (ma anche non così vecchi) raccontano di intere località invase dai serpenti, ghiaioni e crepacci popolati da esseri striscianti al punto da sentirne un concerto di sibili e soffi: allo stesso modo spiegano che le vipere aspis, quelle comuni, oggi, sono meno diffuse nei luoghi frequentati dall’uomo perché le case, le baite, le strade, i paesi sono mantenuti con maggior cura rispetto al passato.

Durante la pandemia, c’è chi in Cadore ha notato un effettivo incremento di piccoli roditori, quindi di vipere e di conseguenza di rapaci, ma i racconti di chi ha vissuto prima degli anni ’90 descrivono queste presenze sibilanti come parte della quotidianità in paese, oltre che nelle escursioni in località remote.

Le vipere comuni, unica specie velenosa del nostro territorio (esisterebbe in questa fascia anche la vipera dal corno, che però è più unica che rara sulle Dolomiti), sono una specie tendenzialmente territoriale e, contrariamente a quanto si possa pensare, per nulla aggressiva. Inoltre, queste creature sono completamente sorde, percepiscono soltanto le vibrazioni del terreno.

Quando vengono molestate o calpestate, sono solitamente fulminee nel contrattaccare, ma non sempre iniettano del veleno (che anzi per loro è poi fondamentale per cacciare e nutrirsi): l’obiettivo cioè non è, come sarebbe davanti a un topo, quello di paralizzare la preda, ma di difendersi per poi fuggire e nascondersi.

I leggendari cacciatori di vipere

C’è chi racconta di aver conosciuto da giovane, un leggendario cacciatore di vipere. Si deduce ce ne fosse almeno uno per paese, o perlomeno ad Auronzo, a Lozzo di Cadore e a Santo Stefano c’è chi ancora ne ricorda i nomi. Ragazzi coraggiosi, senza paura o semplicemente in vena di rischiare, che catturavano queste serpi con una particolare presa a due dita, per poi venderle, vive o morte.

Le tecniche per prenderle senza venire morsi erano diverse e – chiaramente – crudelissime nei confronti dell’animale (ma con un’ingenuità che, considerando le pratiche del passato, dobbiamo perdonare): c’era chi semplicemente le afferrava velocissimo con due dita per l’estremità della coda, dove finisce lo scheletro (per evitare che l’aspide potesse riavvolgersi su se stesso e quindi raggiungere la mano), scuotendola poi per farla tornare verticale; c’era chi poi la prendeva per la piccola testa e subito le faceva mordere qualcosa per raccoglierne il veleno in un barattolo, facendo pressione sui denti veleniferi; oppure questi cacciatori producevano dei cappi specifici con erbe robuste, che resistevano al divincolarsi delle serpi nel tentativo di fuggire. I più cauti le intrappolavano in una bottiglia mettendo del latte sul fondo come esca, in modo che poi non riuscissero più a risalire le pareti bagnate di vetro. In questo caso spesso le vipere morivano.

Gli acquirenti erano soprattutto le farmacie, ma anche alcuni collezionisti erano interessati a queste particolari creature in barattolo: in questo modo potevano farle vedere da vive ai bambini delle scuole, incantati dalla nomea malvagia della vipera comune. Una vipera viva poteva valere fino a cinquemila lire, mentre il suo veleno normalmente veniva acquistato per pochi spicci per produrre l’antidoto. Nel Bellunese si racconta anche che c’era chi metteva la vipera sotto grappa, per dare una caratteristica alternativa da veri duri ai soliti digestivi esposti sopra al bancone.

La testimonianza del dottor Segala, ex farmacista di Santo Stefano

Il dottor Segala, farmacista novantatreenne di Santo Stefano di Cadore con una vita di lavoro alle spalle, racconta che una vipera poteva sopravvivere in bottiglia per due mesi, se nutrita adeguatamente e abbeverata con alcune gocce di latte ogni giorno. Ecco la sua testimonianza.

Il farmacista di Santo Stefano di Cadore

“La farmacia da quei tempi a oggi è cambiata moltissimo. Non c’era alcuna sensibilità nei confronti di questi rettili, anche perché a quel tempo capitava più spesso che la gente venisse morsa. Erano viste con ribrezzo e paura, come creature maledette più che come animali. Anche io che avevo una certa esperienza in laboratorio devo ammettere che non ero affatto tranquillo nel maneggiarle.

A portarmele era un coraggiosissimo, un tale detto “Lulli”. Io le prendevo con le pinze da farmacista, le mettevo in dei vasi piombati, poi da lì le trasferivo in delle bottiglie affinché si vedessero meglio. Inserivo qualche fuscello preso dal loro covo e qualche goccia di latte. Così la vipera si muoveva lungo il bastoncino per alimentarsi, ma dopo un po’ di tempo moriva per le condizioni di quella cattività. Quelle bottiglie destavano grande interesse scientifico e venivano a vederle esperti del settore, maestri, dottori, altri farmacisti e anche gli studenti.

A quel tempo capitava più spesso di venire morsi da una vipera aspis e allora quando succedeva io mandavo tutti i miei pazienti all’ospedale di Auronzo, che a quel tempo era davvero all’avanguardia. C’era un primario bravissimo, di cui non ricordo il nome. Infatti, non mi è mai capitato di avere un paziente che sia morto per un morso di vipera. Spesso oggi i visitatori – ma anche la gente di qua – confondono le vipere con le sorbole. In ogni caso, la loro natura è quella di fuggire, non di attaccare. È un bene per noi fare lo stesso”.

(Foto: Qdpnews.it ©️ riproduzione riservata).
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