Si vergognavano delle mogli dopo essere diventati “americani”: una vera storia cadorina dell’emigrazione nel primo Novecento

C’erano esattamente 6.629 chilometri tra Maria e suo marito Livio in quell’inizio di primavera dei primi del ‘900. Chi conosce il paese di Auronzo di Cadore sa che c’è una bella località alla fine dell’abitato che si chiama Giralba, la quale prende il nome dal colore particolarmente bianco delle ghiaie del rio che scorre fra i prati dell’omonima valle.

In un’ampia radura a fianco del torrente sorgeva un tempo un villaggio formato da poche case di pietra e di legno. Oggi si scorgono avvallamenti e dossi coperti dall’erba: sotto di essi ci sono ancora i resti di quelle case, mentre il rudere di una fontana è ancora ben visibile in mezzo a una radura.

Livio e Maria, che vi vivevano, avevano quattro figlie: Fioretta, Pina, Italia e Gigia. La famiglia era poverissima, tanto che le figlie avevano un solo paio di scarpe che si scambiavano quando si recavano alla Messa, che si teneva chiesa di Santa Giustina, distante circa cinque chilometri.

Livio fece una scelta che accomunava molti uomini e donne di Auronzo: emigrare negli Stati Uniti d’America. Il denaro per il viaggio fu raggranellato a stento e, nel giorno della partenza, erano tutti un po’ più poveri. Livio promise alla moglie e alle figlie di far sapere loro al più presto della sua sistemazione nella lontana America. Diede loro un brusco bacio sulla fronte e salì sul carretto di un compare, per poi scomparire all’orizzonte, senza più guardarsi indietro.

Maria attese a lungo sue notizie. Stava alla finestra a chiedersi quando avrebbe ricevuto finalmente la prima lettera. Scelse addirittura di anticipare i tempi e scrivergli lei stessa già una risposta, rendendosi poi conto che non aveva idea di dove inviarla.  I familiari l’avevano aiutata per qualche tempo, sorreggendone le speranze, poi lo sconforto aveva assediato lei e le figlie.

Il villaggio era isolato e nascosto dalle frazioni principali del paese: la Croda dei Toni e il Monte Giralba sovrastavano con la loro imponenza tutta la vallata e il crepuscolo arrivava presto da quelle parti. Maria, con l’arrivo dell’autunno cominciò ad angosciarsi.

Un giorno, dopo la messa, un compagno di scuola del marito, la affiancò per dirle che suo fratello aveva incontrato Livio. Viveva a New York e stava bene, aveva trovato un lavoro onesto e stava mettendo via dei soldi. Non abbastanza, comunque. Lei chiese di avere un indirizzo e finalmente riuscì a spedire una lettera, che viaggiò per 6629 chilometri e, chissà come in quei tempi così incerti, quel fragile pezzo di carta riuscì a finire tra le mani di Livio, che a sua volta rispose.

Da quel momento in poi la vita di Maria si ricompose: lavorò con grande dedizione, anche dopo il tramonto, chiese aiuto alla sua famiglia e scrisse al marito che l’avrebbe raggiunto ancor prima di sapere se lui fosse d’accordo. Lira dopo lira, anche con l’aiuto di Livio, Maria riuscì a comprare un biglietto di sola andata per New York per sé e per la figlia minore Gigia, con partenza dal porto di Genova.

Per la prima volta nella sua vita uscì dal Cadore per affrontare un viaggio di oltre un mese. Con sé portò un paio di scarpe aggiustate dal calzolaio in cambio di un sacco di patate e per tutto il viaggio indossò una gonna lunghissima, spessa e scura e un fazzoletto annodato dietro la nuca.

Quando vide dalla prua della nave, assieme ad altri migliaia come lei, la grande statua di donna che teneva alta nel cielo una torcia di fuoco, Maria si sentì intimidita e fuori luogo. Proprio lei, che viveva in quella zona isolata di Auronzo, era in qualche modo arrivata a Ellis Island, NY. Sperò fino all’ultimo che suo marito fosse lì ad aspettarla, che fosse venuto a prenderla per riabbracciarla e ricordare come si erano conosciuti da giovani. Infatti, Livio c’era.

Si era preso una licenza dal lavoro e puntuale aveva raggiunto l’isolotto dove anche lui, un anno prima, era arrivato sfinito e malato per i tanti giorni in mare. Quando esaminò la banchina per riconoscerlo, però, Maria si sorprese dell’eleganza di quei signori che aspettavano, con la giacca e la cravatta in ordine, dai colori accesi, le scarpe ben lucide e la postura eretta. Le donne portavano gonne corte e scarpe dai tacchetti alti, vistose collane, cappelli e borsette, tenendo i mariti e i figli sottobraccio.

Scendendo lungo la rampa d’imbarco, tra tutti un volto le parve familiare: un uomo alto e composto, con la giacchetta pulita e la cravatta blu, il fazzoletto al taschino e le scarpe di cuoio. Specialmente notò i capelli neri e brillanti e non più grigi e spenti come quando era partito, come se quel posto l’avesse portato indietro a quando aveva vent’anni. Nel vedere le due povere donne, vestite alla cadorina, Livio arrossì, strinse loro la mano, e diede un bacio frettoloso solo alla figlia.

Pronunciò le prime parole in dialetto auronzano, parole indelebili che Maria ricordò per sempre: “Camina ntin pì ndrio de me che me vargogno”, che letteralmente significa: “Cammina un po’ più indietro, che mi vergogno”. Solo questo, poi accelerò il passo per lasciarle indietro. E sulla banchina, erano in molti a non voler andare a prendere la moglie a braccetto, per farla scendere dalla nave e condurla a fare un giro per la città. Le vesti lacere e consunte erano un segno che quegli uomini avevano già portato e che volevano soltanto dimenticare: chi poteva acquistava subito qualcosa per la moglie, affinché potesse uscire con lui, tutti gli altri, semplicemente, non le consentivano di uscire.

Questo fu l’esordio di Maria e di Gigia nella Terra Promessa. La madre e Livio non fecero più ritorno ad Auronzo. Gigia si sposò in America, ma lei da adulta, ormai vedova, riuscì a tornare al paese a rivedere le sorelle. La storia è autentica, tramandata oralmente da quattro generazioni, ma il vero nome di Livio, che appare nella fotografia al centro dell’immagine (letteralmente aggiunto nel ritratto di famiglia in quella che oggi definiremmo post-produzione) è stato dimenticato. Quello di Maria, invece, no.

(Foto: Qdpnews.it).
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