Oggi, martedì, ricorre il 57esimo anniversario della tragedia di Mattmark in Svizzera.
Il 30 agosto del 1965 persero la vita 88 operai, di cui 56 italiani e fra questi ben 17 bellunesi.
I lavoratori morirono sotto la valanga che investì il cantiere della diga elvetica in costruzione.
Tra i bellunesi che perirono furono: Giancarlo Acquis – Belluno; Giovanni Baracco – Domegge di Cadore; Aldo Casal – Sospirolo, Fiorenzo Ciotti – Pieve di Cadore; Leo Coffen – Domegge di Cadore; Virginio Dal Borgo – Pieve d’Alpago; Lino D’Ambros – Seren del Grappa; Celestino Da Rech – Sedico; Silvio Da Rin – Domegge di Cadore; Arrigo De Michiel – Lorenzago; Igino Fedon – Domegge di Cadore; Mario Fiabane – Sedico; Pietro Lesana – Pieve di Cadore; Illio Pinazza – Domegge di Cadore; Rubelio Pinazza – Domegge di Cadore; Enzo Tabacchi – Pieve di Cadore; Giovanni Zasio – Sedico.
Una valanga di più di 2 milioni di metri cubi di ghiaccio seppellì 88 dei lavoratori impegnati nella costruzione della diga in terra più grande d’Europa. Come a Marcinelle, la tragedia determinò un momento di cesura nella storia dell’emigrazione italiana.
Le baracche erano state costruite “sulla traiettoria di caduta del ghiacciaio sospeso”.
Anche il presidente della Regione del Veneto Luca Zaia ha voluto ricordare le vittime di questo dramma: “Questa tragedia è tutt’oggi ricordata come una delle più terribili dell’emigrazione operosa, il drammatico epilogo della vita di onesti lavoratori che stavano solo cercando di costruire un futuro per sé e le proprie famiglie”.
“La storia dell’emigrazione non è fatta solo di numeri, statistiche e date: dietro ogni numero ci sono uomini e famiglie, lavoro e fatiche, speranze e dolori. Per questo, una data come quella di oggi deve rimanere scolpita nella memoria e far riandare con il pensiero a quanti bellunesi molti anni fa persero la vita nel tentativo di costruire, per sé e per i propri cari, un futuro migliore. A quegli operai dobbiamo moltissimo: il loro sacrificio non è stato vano, anzi: ha contribuito a raccontare la storia della nostra regione e la nostra identità attraverso singole storie individuali. Se oggi il Veneto è una terra operosa lo dobbiamo proprio a quanti, prima di noi, hanno tracciato un solco. Oggi abbiamo il dovere di ricordare, per ringraziare” conclude Zaia.
(Foto: Wikipedia).
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