C’era una volta il tabacco. O meglio, c’è ancora: ma in un tempo, neanche troppo lontano, la coltivazione di questa particolare pianta dava davvero da vivere a intere comunità e famiglie del territorio.
E attorno a questo business ormai quasi “di nicchia”, fiorivano storie, amori, truffe… vite vissute. Quelle raccontate nelle ultime settimane dalla mostra “I tabacchi di ieri”, esposta al Teatro Accademico di Castelfranco Veneto e che, dopo aver riscosso un buon successo di pubblico e interesse, chiude i battenti proprio oggi, domenica.
Abbinato alla rassegna, anche lo spettacolo “Tabacco, tabacchine e contrabbando”, che, portato in scena dal gruppo teatrale Gli Artistonati, ha ricostruito proprio le tumultuose vicende legate a questa coltivazione e soprattutto all’ex Consorzio Tabacchicultori di Castelfranco, nato nel 1923 e confluito poi nel 2000 nel “cugino” Consorzio Tabacchicoltori Monte Grappa (che ancora oggi porta avanti la tradizione del sigaro nostrano del Brenta).
“L’industrializzazione della produzione è avvenuta negli anni ’40 del Novecento – spiega Sergio Pietrobon, promotore della mostra e referente dell’associazione frazionale Salvarosa -. Mentre è con l’arrivo del nuovo millennio che è iniziata inesorabile la crisi del tabacco, con una riduzione sistematica di ettari coltivati e la fine delle sovvenzioni legate al mutare dei tempi”.
In mezzo, come detto, tante storie di intere famiglie e comunità (della Castellana e non solo) che, grazie alla coltivazione del tabacco e alla sua vendita, riuscivano a sfamarsi. Per molti, addirittura, era la principale fonte di reddito, in qualche caso l’unica. Ecco perché, come raccontato dagli organizzatori, “l’ingegno contadino dell’epoca sfornava mille stratagemmi per aggirare i severi controlli della Guardia di Finanza e del Consorzio”.
I produttori infatti cercavano sempre, attraverso forme variegate e sempre più fantasiose di “contrabbando”, di tenere per sé una quota di tabacco. Oppure di farlo sparire e poi magicamente riapparire per ottenere maggiori guadagni dalla vendita. Come nel proverbiale “salto della conta”.


“Non serviva corrompere, bastavano le figlie, sorelle, nipoti, fidanzate e mogli dei coltivatori di tabacco che sapevano bene come e quando cogliere il momento giusto per distrarre l’ufficiale controllore – racconta Luigi Fabian, 64 anni, anche lui di Salvarosa, ultimo presidente del Consorzio di Castelfranco -. Il piano era semplice: si informavano prima le addette contabili sul numero di mazzi mancanti, poi si individuava la ‘vittima’ e gli si metteva vicino alcuni ‘casinari’ che, al momento opportuno, distraevano il finanziere di turno. E così da 64 si passava direttamente a 74. E i conti tornavano sempre”.
Per non parlare poi delle foglie che venivano nascoste sotto le vesti delle donne, così che le stesse sembravano ripetutamente “incinta”. Unica controindicazione: a contatto diretto con la pelle, il tabacco rilasciava la nicotina facendo venire la febbre alta alle malcapitate.
Una prassi talmente radicata che, addirittura negli anni ’60/’70, se ne trovò testimonianza nel sottotetto della chiesa di Salvarosa. “Quando venne risistemato il tetto, i muratori rinvennero un certo numero di mazzi rimasti, dimenticati forse per l’abolizione dei super controlli” continua Pietrobon.


“In quegli anni e anche prima, a Castelfranco Veneto e in Valbrenta il tabacco era diventato una monocultura, aveva un impatto economico molto forte – sottolinea Massimo Zerbo, attuale responsabile della produzione e coltivazione del Consorzio Monte Grappa -. Oggi noi, dopo aver recuperato i vecchi semi del nostrano del Brenta, cerchiamo di portare avanti questa gloriosa tradizione producendo ancora quasi 2 milioni di sigari interamente fatti a mano”.
Anche se, ormai, i “tempi d’oro” del tabacco sono solo un (per qualcuno nostalgico) ricordo. “E’ stato un dispiacere chiudere il Consorzio nel 2000 – conclude l’ex presidente Fabian -, ma purtroppo fu una scelta inevitabile perché tutto il processo era stato accentrato e i piccoli non avevano più alcun margine di guadagno. Io lo coltivo ancora però, ricordandomi di quando, da bambino, mi svegliavo alle 4 della mattina per andare a ‘imbeverarlo’. E solo dopo aver fatto questo, si andava a scuola”.
(Autore: Alessandro Lanza)
(Foto e video: Alessandro Lanza)
(Articolo, foto e video di proprietà di Dplay Sr)
#Qdpnews.it riproduzione riservata