Nasce da un’idea di David Borrelli, deputato al Parlamento europeo, l’incontro organizzato lo scorso venerdì a Castelbrando di Cison di Valmarino per parlare di Made in Italy, un’etichetta che racchiude in sé molto più che una semplice provenienza geografica. Molti gli imprenditori e le autorità presenti in sala, tra le quali il prefetto di Treviso Laura Lega e l’assessore regionale al turismo Federico Caner.
Un marchio che non mostra segni di agonia, ma che per sopravvivere e proteggersi da imitazioni necessita di una regolamentazione da parte dell’Unione Europea. “A Bruxelles però, dove si gioca la partita per la tutela del made in Italy, il dossier è fermo da anni, per l’incapacità degli stati di raggiungere un accordo”, spiega Borrelli.
Sfruttando anche l’innegabile fascino del marchio italiano, le aziende superano le barriere nazionali e iniziano a consolidare la propria presenza all’interno del mercato estero. Nella loro strategia però, non basta l’appeal del made in Italy, ma ci deve essere molto di più. Un legame assolutamente indissolubile lega le aziende con il territorio che le ospita: è qui che si nasconde la chiave del successo, perché esportare un prodotto significa esportare anche la storia, le bellezze e le unicità che caratterizzano la sua provenienza.
E al di là del prodotto, indubbiamente di qualità, è il valore aggiunto che sa donare ad essere inimitabile, nel senso più letterale del termine. Passione ed emozione, elementi che non figurano nelle etichette dei prodotti, ma che diventano dei veri e propri marchi di fabbrica del made in Italy nel mondo intero.
“L’Italia è riconosciuta all’estero per il cibo, la moda e l’architettura – spiega Armando De Nigris, titolare dell’omonimo acetificio modenese – insieme, hanno un comune denominatore: sono fatti in modo artigianale, con le mani, e tutto ciò ci rende degli artisti. Il made in Italy è un volano importante, esprime valore e significa creatività: ci riconoscono come produttori del gusto e del bello”.
L’esperienza di De Nigris, alla guida dell’azienda che si classifica come il maggior produttore italiano di aceto, all’interno di un mercato controllato ormai per più della metà da aziende straniere, l’ha portato alla proposta di una authory per il made in Italy: “Bisogna fare cultura ed incentivare il saper fare all’italiana che tanto ci invidiano e copiano nel mondo”.
E’ con questa logica che anche un prodotto dal consumo locale e considerato di nicchia come il distillato, può riuscire a conquistare e a consolidare una fascia del mercato estero. “Stiamo arrivando in mercati nuovi, come gli Stati Uniti, il Canada e la Cina – racconta Roberto Castagner, titolare della ditta Castagner Acquaviti di Vazzola – Siamo delle piccole aziende, ma abbiamo una grande passione e grandi possibilità. Gli imprenditori, insieme ai politici, devono creare una squadra vincente per decidere le prossime mosse”.
Sembra invece avere la strada spianata verso l’estero il Prosecco, prodotto principe della Marca Trevigiana. “E’ un marchio ormai forte nel mondo, è un bene di un’area comune, non di una singola azienda – spiega Franco Adami, titolare della Adami Spumanti di Vidor – lavorare bene un marchio in un’area significa lavorare bene per tutti”.
Un’opinione condivisa anche da Maria Elena Bortolomiol, titolare della Cantina Bortolomiol di Valdobbiadene: “Cerchiamo di puntare sulla nostra storia, su un territorio che non smette mai di stupire. Il nostro fatturato estero è del 25 percento ma puntiamo all’aumento della nostra quota di dieci punti nei prossimi anni”.
Nella foto in alto, sul palco da sinistra: Armando De Nigris, Franco Adami, David Borrelli, Maria Elena Bortolomiol e Roberto Castagner
(Fonte: Giada Fornasier © Qdpnews.it).
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