“Il processo ha dimostrato, oltre ogni ragionevole dubbio, la penale responsabilità dell’imputato nell’omicidio di Loris Nicolasi e Annamaria Niola”.
Così il presidente della corte d’assise del tribunale di Treviso Michele Vitale, motiva la sentenza di condanna all’ergastolo, emessa il 19 dicembre scorso, nei confronti di Sergio Papa accusato del barbaro omicidio della coppia, uccisa a Rolle il 1 marzo 2018. In 57 pagine la corte motiva perché è convinta che il 38enne, difeso dall’avvocato Alessandra Nava, sia l’assassino della coppia di coniugi.
A cominciare dalle indagini che, fin dall’inizio, hanno puntato verso Papa, indicato dalle vittime alla figlia Katiuscia e ai vicini, come l’uomo che si era introdotto nella loro casa il giorno precedente.
Ma che, allo stesso tempo, hanno seguito e vagliato anche altre strade: “Non c’è stata come sostiene la difesa, una scelta unidirezionale delle indagini predestinate a “incastrare” l’imputato e individuare, a tutti i costi, un capro espiatorio per il gravissimo fatto di sangue”.
Tra gli elementi di prova raccolti dai carabinieri del nucleo investigativo di Treviso, sono ritenute fondanti per i giudici, le dichiarazioni dei genitori di Papa, Fulvio e Maria Teresa che, intercettati lasciano intendere di sapere più di quanto dicono ad esempio dell’auto che il figlio avrebbe usato per arrivare sul luogo del delitto e ritrovata bruciata: “Dell’auto sai solo tu, cosa ne sai? Nessuno ne ha parlato?”.
E che provano a creargli un alibi: “Dobbiamo dire che lui è via. Che è andato via un po’ di giorni”. Fino a quelli che per la corte sono: “Due elementi di portata dirompente a carico dell’imputato a completamento di un quadro probatorio già di per sé gravissimamente indiziante”.
E sono la confessione dell’amico marocchino Charaf Eddine Bilali e la prova genetica, ossia il ritrovamento da parte dei Ris, del dna di Papa sotto un’unghia della mano sinistra di Annamaria.
Due prove che, scrive la corte: “La difesa invero con grade tenacia e determinazione ha cercato di smontare”. Screditando innanzitutto Bjlali che trascorse con Papa i giorni seguenti al delitto e che raccolse la sua confessione: “Mi ha detto che li ha uccisi per vedere cosa si provava”.
Il marocchino, pregiudicato, è invece ritenuto dalla Corte credibile: “Il suo resoconto travagliato e sofferto, si pone in netta antitesi logica con una volontà calunniosa. Data la consapevolezza dell’enormità del segreto di cui era depositario e delle conseguenze che provocava dicendolo”.
La prova del Dna, che la difesa ha cercato di scardinare tecnicamente, è invece ritenuta fondamentale per i giudici: “I rilievi della difesa sulle incongruenze negli esami, afferiscono a teorici approfondimenti, del tutto inidonei a stravolgere i risultati dell’indagine genetica svolta”.
Per questo la corte ha accolto la richieste del pubblico ministero Davide Romanelli: “Sergio Papa ha agito con sevizie e crudeltà rivelatrici di un’indole malvagia e priva di qualsiasi umanità. Agendo per motivi futili e abietti e senza un qualsiasi pentimento. Per questo provata la penale responsabilità, l’unica pena adeguata è quella dell’ergastolo”.
(Fonte: Redazione Qdpnews.it).
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