Quelle vacanze negli anni ’60 in San Boldo, con la corriera di Fonso e le teleferiche per il fieno: i ricordi di Piero Gerlin

Oggi quando si va in ferie si prenotano vacanze esclusive, negli anni ’60 invece le vacanze erano molto più autentiche, come racconta Piero Gerlin nei suoi ricordi estivi. “Partivamo in agosto per il San Boldo, meta di moltissimi abitanti della zona: i miei genitori sull’intramontabile Gilera 150, io sul serbatoio con un pacco sistemato dietro. Le valige più grandi ce le facevamo recapitare su da qualche amico che aveva la macchina”.

La strada per arrivare in San Boldo era diversa da quella di oggi: una volta si partiva da Pieve di Soligo in via Schiratti e visto che la circonvallazione non esisteva, si doveva salire fino al centro di Soligo, poi giù in discesa fino alla latteria e alla cantina di oggi. Si risaliva poi fino alla Locanda da Lino, dove all’incrocio c’era la pesa pubblica e nel giardino erano esposte le sculture di Benetton e Salomon.

Si proseguiva in direzione Follina, dove in località La Bella non si trovava neanche una casa. Arrivati in centro, prima del ristorante al Cavallino, si girava a destra per sbucare da Masot, sulla strada che usciva dall’Abbazia in alto. Al ritorno si doveva girare sopra l’Abbazia e arrivare in piazza Marconi, a quel tempo chiusa a est e sud: si prendeva la strettoia verso sud, si arrivava in piazza 4 Novembre e si proseguiva per Pieve.

Arrivati a Cison, Gerlin ricorda che si entrava in centro e si proseguiva per Tovena, qui cominciava il San Boldo: la strada era ovviamente bianca, con alcuni depositi di terra o ghiaia disposti ogni 300-400 metri che servivano a uno “stradino” per coprire le buche.

Nei vari tornanti c’era il classico “codolà” per evitare lo sfregamento o lo slittamento delle ruote sulla strada. Arrivati poi alle 5 gallerie, non si trovava certo il semaforo! E il doppio senso di circolazione all’interno poteva avvenire senza problemi visto che le auto erano quasi tutte Fiat 500 e 600, quindi piuttosto piccole. Passare all’interno delle gallerie era come entrare in un altro mondo: “Era tutto uno stillicidio, sembrava quasi che piovesse e si evitavano grosse buche al buio: era tutta un’orchestra di clacson”.

“Finalmente arrivati in cima ci sistemavamo in pensione dalla Teresa, dove all’inizio c’era un solo bagno per dieci camere. Era una bella compagnia, ci conoscevamo tutti: c’era anche il ministro Fabbri, allora sindaco di Pieve, e qualche volta, essendo lui da solo, mi invitava a giocare a briscola“.

Le passeggiate che poi facevamo erano verso la località il Campo, il Pian dea Croda, Signa, e la più famosa era su per il Cimone, dove negli anni 70 c’era anche una stazione ricevente – trasmittente di soldati americani della Nato provenienti dalla base Ederle di Vicenza.

Ogni settimana, il martedì e venerdì, arrivava l’elicottero da Vicenza per fornire loro i viveri: poi agganciava una grande sacca per andare a Niccia a caricare l’acqua. “Se eri fortunato, come è successo a me, ti caricavano e ti portavano anche a fare un giro”.

All’inizio i soldati erano accampati con delle tende, poi gli hanno costruito dei prefabbricati in lamiera compresi di salotto e cucina americana. “Ogni tanto arrivavano a S. Boldo in jeep scendendo per la Busa Tedesca: era la prima volta che vedevo dei neri!”.

Gerlin ricorda poi la corriera guidata da Fonso Magagnin, una Fiat 626 celeste che all’inizio partiva da Tovena, ma successivamente la linea partiva anche da Pieve e nelle sere degli anni 60 stava in deposito in piazza. Fonso con la sua corriera faceva un viaggio solo nei giorni feriali mentre la domenica le corse erano due, un viaggio la mattina presto e un altro verso le 8 di sera.

Diversa gente saliva piena di “sporte” di viveri per godersi una giornata di fresco: a Tovena salivano anche i contadini che avevano qualche terreno da badare: caricavano di tutto: falci, corde, carrucole, rastrelli e anche qualche gabbia con dentro galline o conigli: venivano messi dentro alla corriera insieme a noi perché questa non aveva bauli e non si potevano sistemare nel portapacchi superiore, altrimenti non passavano nelle gallerie.

I ricordi continuano con il ristorante – albergo alla Pineta con la chiesetta di S. Rita davanti: “Ogni domenica si celebrava la messa ma la volta successiva la si seguiva nella chiesa di S. Boldo vicino alla Teresa, per accontentare i due ristoranti”.

Dietro questa trattoria arrivavano 3 funi di teleferiche che partivano da vari punti del monte Cimone: “Quando sentivamo il sibilo noi ragazzi correvamo a vedere le grandi balle di fieno che scendevano a forte velocità e andavano a sbattere sui tiranti della teleferica”.

Venivano poi sganciati e caricati su carretti trainati da asini o muli: partivano carichissimi con un conducente e un frenatore dietro che manovrava una manovella, tirava o allentava il freno per non far prendere troppa velocità al carico. “Era tutta una sirena, che strideva dal contatto dei freni sulle ruote in legno circondate da una lamina in ferro” ricorda Piero.

“Ah, dimenticavo! Sopra il carico salivano anche donne e bambini, che all’interno delle gallerie dovevano stendersi bene bene sul fieno per non urtare le volte di pietra. Il nostro divertimento era anche raccogliere i ciclamini, che mettevamo in camera perché avevano un grande profumo”.

Questi sono i ricordi dei primi anni ’60: poi il S. Boldo ha visto qualche opera di ammodernamento e si è sviluppato con l’asfaltatura della strada, nuove case, villette e persino due nuovi alberghi: il Laris e la Genziana.

(Foto: per concessione di Piero Gerlin).
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