Imprenditore illuminato, ingegnere e politico italiano, figlio di Camillo Olivetti, quest’ultimo fondatore della prima fabbrica italiana di macchine per scrivere: sono soltanto alcune delle definizioni attribuibili al profilo di Adriano Olivetti (1901-1960).
Una figura di rilievo del secondo dopoguerra italiano e la mente di innovativi progetti industriali, basati sul principio secondo cui il profitto aziendale deve essere reinvestito a beneficio della comunità.
E proprio tutte queste sfaccettature vengono illustrate tra le pagine del volume “Adriano Olivetti un italiano del Novecento”, scritto dal giornalista e saggista del “Sole 24 Ore” Paolo Bricco ed edito da Rizzoli.
Il libro è stato presentato nella serata di ieri, giovedì 26 gennaio, nell’aula magna dell’ex convento di San Francesco a Conegliano.
“Vedeva la fiamma divina in tutti coloro che partecipavano alla sua impresa”, è l’immagine emersa di Olivetti, il ritratto che di più rende l’idea dell’approccio moderno e precursore dei tempi che l’imprenditore dimostrò di avere.
Una figura di imprenditore che ancora oggi sa far parlare di sé, tanto che, spesso e volentieri, si fa riferimento al “mito di Adriano Olivetti”.
Il “suo essere pioniere e visionario” emerge, ad esempio, nella scelta di richiedere la collaborazione di Carlo Scarpa per la progettazione del negozio Olivetti a Venezia.
“In ogni situazione cercava la massima declinazione del bello, non in una logica standard”, ha raccontato Bricco, il quale ha ben ricostruito l’identikit di un genio della fabbrica, paradossalmente terrorizzato che l’uomo divenisse schiavo della fabbrica stessa.
Per questo, segue l’idea di un’organizzazione aziendale tale da preservare l’uomo dal rischio di rimanere schiavizzato dalla fabbrica.
“Nel genio italiano c’è qualcosa di straordinario che Olivetti è in grado di interpretare”, ha spiegato l’autore del volume.
Tra le sue iniziative, forse la più significativa (anche per l’epoca attuale) è la corresponsione del 100% dello stipendio alle dipendenti divenute madri, fino al compimento del nono mese del bimbo.
Da evidenziare che tutto ciò avviene indipendentemente dallo status giuridico della donna (non interessava se la neo-mamma fosse sposata o meno), sullo sfondo di una società degli anni cinquanta dove le lavoratrici incinte possono rimanere a casa solamente un mese prima e un mese dopo il parto.
Per rendere ancor meglio l’idea, all’epoca un dipendente della Olivetti guadagnava il 40% in più rispetto ad altre aziende, senza contare tutti i servizi a disposizione (come i servizi medici e la colonia estiva per i bambini).
Una certa dose di innovazione, e soprattutto di buonsenso, pare essere stata presente anche nel padre Camillo, se si considera l’insegnamento dato al figlio e futuro imprenditore: “Tu puoi fare quello che vuoi, salvo licenziare“.
Intanto, sempre negli anni cinquanta, Adriano investe in elettronica, un ramo tecnologico all’epoca inesistente e inventato proprio dalla Olivetti e dall’americana Ibm.
Adriano Olivetti muore nel 1960, lasciando un’azienda solida e con una proiezione significativa verso il futuro, ma qualcosa sembra non funzionare nel “dopo Olivetti”, periodo in cui “la parabola vede un’involuzione, fino al dissolvimento”.
Cosa è andato storto? Secondo Bricco è mancata una pianificazione e in quella fase emerge come “Adriano Olivetti sia un uomo del suo tempo, che ha dei limiti personali”.
Mal digerisce gli esiti di un’elezione politica fallimentare, a cui partecipa nel 1958 (la sua leadership ne esce usurata) e ci sono problemi di capitalismo familiare all’interno dell’azienda (il capitale aziendale personale di Adriano Olivetti ammonta al 10%, mentre il resto è della famiglia).
Oltre a ciò, ci sono errori strategici e non viene costruito un meccanismo successorio.
In sintesi, come recita il titolo del volume, Adriano Olivetti è un uomo del Novecento, poiché ha l’ossessione della fabbrica e della tecnologia. Un’ossessione unita al demone della politica, la cui passione alla fine si rivela per lui logorante.
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