E’ stato fissato per il prossimo lunedì 12 novembre 2018, dalle ore 9.30, nell’aula bunker di Mestre in Corte d’Assise d’Appello di Venezia, il processo d’appello a Mihail Savciuc, l’oggi ventenne di origine moldava accusato dell’omicidio dell’ex fidanzata e connazionale Irina Bacal, vent’anni, residente a Conegliano, e del bimbo che la ragazza, incinta al settimo mese, portava in grembo e che era anche figlio suo, come comprovato dall’esame del Dna: l’ennesimo femminicidio è stato perpetrato la sera del 19 marzo del 2017 e poi l’omicida ha anche occultato il corpo in un boschetto nel Vittoriese.
In primo grado Savciuc, che era accusato di omicidio pluriaggravato dalla premeditazione e di occultamento di cadavere, è stato condannato a trent’anni di reclusione, sentenza emessa il 10 novembre dello scorso anno, in Tribunale a Treviso, dal giudice Piera De Stefani, che ha anche accolto la richiesta del legale dei familiari della vittima, Andrea Piccoli del Foro di Treviso, per il risarcimento dei danni da liquidarsi in sede civile, accordando una provvisionale già esecutiva di 200 mila euro a favore della mamma di Irina, Galia e di 80 mila euro per la sorella Cristina, costituitesi parte civile.
Una condanna pesante, nonostante il Pubblico ministero della Procura di Treviso, titolare del procedimento penale, Mara Giovanna De Donà, avesse chiesto l’ergastolo e la mamma di Irina sperasse nel carcere a vita: praticamente il massimo, considerato che l’imputato aveva chiesto e ottenuto il rito abbreviato (peraltro semplice e non condizionato all’espletamento di una perizia psichiatrica, istanza respinta dal giudice), e data anche la sua giovane età e il mancato riconoscimento della premeditazione.
Un aspetto, quest’ultimo, che aveva lasciato l’amaro in bocca ai familiari della vittima, alla parte civile e allo stesso sostituto procuratore, anche alla luce della perizia informatica sullo smartphone dell’assassino, che il giorno stesso dell’omicidio aveva condotto numerose ricerche in Internet su come uccidere una persona e come evitare di essere scoperto.
I legali dell’imputato, tuttavia, come preannunciato, hanno appellato la sentenza sperando ovviamente in uno sconto di pena. “Ma noi confidiamo fermamente nella riconferma della sentenza di primo grado, anche sulla scorta della solidità dell’impianto accusatorio costruito dalla Procura di Treviso” – spiega l’avvocato Andrea Piccoli, che assiste fin dalla prima ora la famiglia Bacal con la collaborazione di Studio 3A.
“Mia figlia non c’è più, io non ho più pace e già adesso sono agitata sapendo che dovrò rivivere un’altra volta questa tragedia – aggiunge tra le lacrime mamma Galia, che il 12 novembre sarà in aula, così come ha seguito tutte le udienze del processo di primo grado – Cosa mi aspetto? Giustizia per mia figlia. Spero che i giudici si mettano una mano sulla coscienza: chi ha commesso un atto così crudele non può cavarsela con poco. Questo criminale merita l’ergastolo”.
(Fonte: Studio 3A).
(Foto: archivio Qdpnews.it).
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