Il fulmine che, nella serata di lunedì scorso, ha danneggiato la ciminiera delle ex fornaci Tomasi di Conegliano ha anche riportato l’attenzione su un’area che periodicamente torna al centro dei dibattiti cittadini, in particolare della politica (vedi articolo).
Complesso di grandissimo interesse storico-culturale costruito a inizio del Novecento alle porte di Conegliano, la fornace è passata dall’essere simbolo dell’industria locale del secolo scorso a emblema di un patrimonio archeologico-industriale di cui la città è ricca, ma che non è ancora riuscita a riqualificare restituendo la dignità a aree oggi in rovina.
Dopo il danno di lunedì, l’architetto Lucia Tomasi spiega più dettagliatamente la dinamica dei fatti, illustrando la necessità di tutela di un simile patrimonio, prima che la rovina diventi irrecuperabile, ma anche come l’ingegno che lo ha concepito lo sostenga ancora oggi di fronte all’azione inarrestabile del tempo.
L’architetto Tomasi del resto è cresciuta nel mito di questo straordinario complesso architettonico di proprietà della famiglia, e ne ha raccontato dettagliatamente l’importanza per la storia locale in un libro, “La ciminiera di Conegliano”, pubblicato nel 2013.
“Come hanno già spiegato le autorità, strutturalmente la ciminiera non ha problemi seri, ad essere danneggiati sono stati i mattoni esterni, mentre la seconda canna interna, che è portante, è rimasta integra”, precisa l’architetto.
Un danno non irreparabile fortunatamente, ma ben visibile ad occhio nudo anche perché la ciminiera, alta quarantotto metri, svetta nell’area ed è diventata un punto di riferimento per molti coneglianesi fin dall’infanzia.
Questa torre imponente, costruita nel 1945, originariamente era alta ben 68 metri, il massimo consentito per ottimizzare la funzionalità dei forni. Poi durante gli anni Sessanta fu accorciata di 20 metri per risolvere una pendenza che poteva causare problemi di natura strutturale.
Da allora è rimasta in piedi, rinforzata dalla struttura circolare elastica della canna che ha compensato tutta la forza che gli agenti atmosferici hanno scaricato su di essa nel corso dei decenni.
Ma non è l’unico elemento di interesse del complesso: tra le rovine e la vegetazione ci sono ancora due grandi forni Hoffmann, anch’essi di forma circolare e rimasti integri grazie ad un ingegno costruttivo che aveva una visione di lungo periodo. Ancora, interessante è il laghetto di un ettaro formatosi nella cava dove veniva estratta l’argilla, un ecosistema che aggiunge un valore naturalistico alla zona.
Sono perduti invece, spiega l’architetto, i due grandi leoni che decoravano l’entrata delle fornaci: piuttosto comuni negli edifici di una certa importanza del territorio, sono comunque rimasti nella memoria dei coneglianesi meno giovani come parte della loro identità.
Purtroppo su di essi si è abbattuta non solo la forza distruttrice delle intemperie, ma soprattutto quella degli atti vandalici, prova ulteriore di come una riqualificazione del complesso possa offrire un presidio ad una zona a cui non ha giovato di certo l’abbandono.
Da anni si parla di una riqualificazione delle ex fornaci: alcuni progetti hanno provato a disegnare la nuova vita del caratteristico complesso in mattoni rossi, che per un periodo sembrava destinato a diventare la nuova sede della Dersut.
Ci sono ancora idee sul tavolo, spiega Lucia Tomasi, e il punto fondamentale è che l’area presenta oggi un valore storico e paesaggistico che è necessario valorizzare: “Non si tratta semplicemente di un’area da cubatura, ma di una storia da ripristinare”.
(Fonte: Fabio Zanchetta © Qdpnews.it).
(Foto: Qdpnews.it © riproduzione riservata).
#Qdpnews.it