E’ un’atmosfera densa di emozione quella in cui si sono chiuse le due settimane residenziali a La Nostra Famiglia di Conegliano che dal 18 al 30 luglio hanno visto impegnati una decina di ragazzi (dai 17 ai 33 anni circa) in un’esperienza di volontariato. La formula prevedeva pernottamenti, colazioni e cene nella vicina Casa dei Padri Dehoniani.
Che cosa si prova al termine di un’esperienza del genere? Lo abbiamo chiesto ai volontari: “Un profondo senso di gratitudine” è stata la risposta. “Grazie” è in effetti la parola che più di ogni altra i loro occhi trasmettono, uno sguardo che in quelle giornate si è riempito di bellezza.
Cosa li ha spinti lì? Curiosità, desiderio di conoscere di più una realtà per certi versi nascosta, poco conosciuta. “Sono sempre stata attenta ai temi della disabilità, dell’inclusione e verso il sociale in generale, ma questa è stata una delle esperienze più belle degli ultimi anni, mi ha davvero arricchita – afferma Sara, ragazza ventiduenne che sta svolgendo il servizio di un anno alla Caritas di Vittorio Veneto -. Certo, può essere molto difficile rapportarsi con i bambini con disabilità, ma è qualcosa che compiendo un piccolo sforzo si può riuscire a fare e le soddisfazioni, la loro gioia, ripagano ogni fatica”.
Com’è strutturata la giornata di un volontario? Sveglia in tempo per fare colazione alle 7.30, breve momento di canto per iniziare al meglio la giornata, con il dono di un simbolo che avrebbe accompagnato durante il giorno, poi su di corsa fino al parcheggio de La Nostra Famiglia ad aspettare l’arrivo dei bambini in pulmino alle 8.30 e accompagnarli nelle rispettive aule. “Il loro sorriso al mattino quando li aiuto a scendere dai pulmini è qualcosa che vorrei essere capace di ricordare quando mi sentirò sola e triste in futuro” dice Sara.
Ogni volontario è stato assegnato a una classe diversa, e la mattina trascorre tra attività di accoglienza, laboratori, giochi con i bambini e gli educatori. Pranzo dalle 12 alle 13.30 in mensa, con turni ogni mezz’ora. Nel pomeriggio attività più tranquille oppure giochi d’acqua, fonte di gioia assicurata per tutti.
“All’inizio ti senti inutile. Non sai come approcciarti, pensi di stare sbagliando tutto o di non riuscire a farti capire. Io, per esempio, mi trovavo in un gruppo di bambini con sindromi particolarmente gravi. Questo da un lato ti demoralizza, dall’altro ti permette di concentrarti sul bambino in tutto e per tutto, prestare attenzione ai piccoli gesti improvvisi, i guizzi negli occhi, i sorrisi, anche furbetti alle volte” racconta un’altra ragazza.
Ma la giornata per i volontari non finisce alle 15.30, quando anche l’ultimo bambino lascia il centro: nella formula residenziale, una parte consistente oltre al volontariato è la vita di comunità. Una volta rientrati a casa Dehon, dopo un’oretta di riposo si partecipa a momenti di riflessione e condivisione con le Piccole Apostole referenti del progetto, Laura e Francesca, i padri ospitanti, Beppe e Daniele, a cui si alternavano figure esterne chiamate a tenere l’incontro per quel pomeriggio. La cena viene preparata dagli stessi volontari. Tra un boccone e l’altro questo è il momento delle risate, degli aneddoti, di un gruppo che inizia a conoscersi sempre di più.
“Impossibile negare che non siano state una fatica queste settimane! ride Maurizio, seminarista al quarto anno a Treviso – a La Nostra Famiglia i bambini necessitano di un’attenzione particolare e costante, devi essere pronta a lasciarti assorbire del tutto da loro. Anche la vita di comunità consuma molte energie, perché integrarsi in un gruppo nuovo può richiedere ad alcuni uno sforzo notevole” aggiunge Sara. “Diciamo che il cuscino della domenica pomeriggio è servito” scherza Francesco, ventidue anni anche lui, compagno di seminario di Maurizio.
Nel weekend i volontari si concedono un po’ di relax, ma nemmeno troppo. Sabato 23 una bella scarpinata fino al rifugio Coldai, la domenica invece sono saliti in pullman direzione Pordenone per la messa e il pranzo nella Fraternità francescana di Betania che ospitava una comunità filippina. Una gita a Caorle ha invece animato la giornata di martedì 26: sarà che dell’acqua nessuno riesce a farne a meno, ma una volta entrati in mare i bambini non volevano più saperne di uscire.
Il “team” di adulti che ha coordinato il progetto non può che essere soddisfatto. “C’è chi sentirà il bisogno di approfondire il tema seguendo altre strade, chi vorrà replicare l’esperienza il prossimo anno (Giada, 18 anni, studentessa al Liceo classico l’ha già assicurato), e a chi invece sarà bastato questo percorso” dice Francesca. A conferma delle sue parole ci sono quelle di Lea, da un anno nella comunità monastica di Marango: “In queste due settimane mi sono resa conto che questo è un ambiente in cui mi piacerebbe lavorare, chissà, magari riuscendo a unire la mia passione per il disegno”.
Manuela, Piccola Apostola, chiosa: “Chiunque tu voglia poi diventare da grande, la vita ti metterà sempre davanti situazioni in cui è importante aver maturato questo tipo di sguardo”.
“Ho avuto il piacere di vedere come persone di età così diverse siano riuscite a trovare il loro incastro e questo non era per nulla scontato, ma la cosa bella qui è che ciascuno si è dato nel proprio modo di essere”, osserva padre Daniele. “In effetti anch’io all’inizio ero un po’ intimorita dalla differenza d’età, ciascuno aveva il proprio bagaglio di esperienze alle spalle, ma alla fine questo scambio intergenerazionale ha di sicuro offerto spunti interessanti” aggiunge Giorgia, diciotto anni compiuti da poco, studentessa al Liceo delle scienze umane. Padre Beppe auspica già una reunion per settembre.
Come ricorda Laura, “all’inizio ci siamo detti che questo sarebbe stato anche un tempo nostro, per scavare dentro noi stessi staccando dalla vita frenetica in cui normalmente siamo immersi”. Ora che l’esperienza è terminata e tutti si apprestano a partire, riecheggiano le parole di Laura, pronunciate in cucina una delle prime sere: “Troppo spesso ci soffermiamo a pensare su quello che ci manca invece che su ciò che già abbiamo. E non ce ne rendiamo conto, ma è tanto”.
Il volontariato è davvero un servizio che si fa per gli altri? I volontari rispondono così: “Egoisticamente ci viene da dire che lo si fa per se stessi, per il senso di pienezza che regala un sorriso dei bambini, ad esempio. Non puoi essere sicuro del contributo che hai dato alle loro vite, l’unica certezza è quel che loro hanno dato a te, ed è tantissimo”.
(Foto: per concessione di Francesca Villanova).
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