Il cimitero di San Giuseppe è il principale luogo di sepoltura di Conegliano: fin dalla sua fondazione nel 1886 accoglie illustri e comuni cittadini, custodisce le opere d’arte commissionate per tramandare la loro memoria e racconta la storia di una città che nel culto dei morti vede riflessa la propria identità.
Come accade spesso nelle città che hanno assistito a un’importante balzo demografico nel corso del Novecento, anche a Conegliano la gestione del cimitero centrale vive una tensione tra due esigenze divergenti: da una parte la razionalizzazione degli spazi e l’ammodernamento delle strutture, dall’altra la preservazione di quelle sepolture di particolare interesse storico ed artistico su cui nessuno rivendica più un legame affettivo.
Il progetto di ristrutturazione dei cimiteri civici avviato negli ultimi anni dalla città ha rappresentato per questo motivo l’occasione per prendere piena coscienza del valore culturale e identitario di questi siti, ideando di conseguenza anche opere che ne valorizzassero la storicità, come la galleria della Memoria e il restauro filologico delle architetture.
Una delle funzioni del cimitero civico è quella di raccontare la comunità che a esso ha affidato le proprie generazioni passate, e in tal senso la testimonianza della Conegliano di un tempo parte dal complesso architettonico di San Giuseppe: mura e spazi comuni monumentali e di gusto vagamente medievaleggiante, riflesso di un stile eclettico che nel tardo Ottocento andava per la maggiore e che è rintracciabile anche nei numerosi edifici neomedievali che si possono apprezzare nel centro cittadino.
È però passeggiando tra le sepolture che si può scoprire la parte più emozionante di questa storia: le parole incise sulle lapidi, il linguaggio più ermetico delle opere d’arte che le decorano e talvolta la memoria di chi ha conosciuto i protagonisti raccontano vite, amori, sogni e drammi intrecciati di un’intera comunità.
Dalle raffinate composizioni in marmo di Vittorio Celotti alle lapidi anticheggianti di Arcangelo Zanette, a quasi un secolo e mezzo dalla sua fondazione, e nonostante le numerose perdite, il cimitero di San Giuseppe è di fatto una galleria d’arte a cielo aperto che illustra anche il modo in cui il territorio ha dato sostanza alla memoria, grazie ad artisti prestati alle opere funerarie ma anche a tanti artigiani specializzati.
Il desiderio di consegnare all’eternità il ricordo dei cari estinti talvolta è talmente forte che anche nella parte più moderna del cimitero, in cui le tombe tendono ad essere più standardizzate e di produzione industriale, alcuni artisti contemporanei sono stati chiamati a fissare nel bronzo o nella pietra storie che racchiudono un pezzo dell’anima del defunto.
Capita quindi di scorgere, tra le tombe di cemento, la scultura in bronzo di una bambina, firmata da Carlo Balljana, che veglia sul sonno eterno di una coppia senza figli il cui più grande desiderio era quello di adottarne uno.
Poco distante, un busto in bronzo sorveglia con sguardo severo un’altra tomba: in questo caso si tratta proprio del ritratto del defunto, e l’autore, il maestro ceramista Isidoro Dal Col, ricorda ancora oggi quanto fu difficile realizzare quell’opera post-mortem, sulla base di una fotografia.
Ma la difficoltà non fu tanto riprodurre la fisionomia, cosa effettivamente realizzata con grande realismo, quanto infondere in quella massa inerte il carattere dell’uomo: fu un ultimo tentativo di modellare la forma del volto e degli occhi, condizionato dalla frustrazione dei tentativi precedenti, ad accendere finalmente quella scintilla che fece riconoscere il ritratto ai parenti che l’avevano commissionato.
Storie a volte struggenti, altre volte divertenti, poco conosciute ma, proprio come avviene nella celebre Antologia di Spoon River, sempre in attesa di qualcuno che abbia il tempo e la voglia di fermarsi di fianco a una tomba e ascoltare quello che hanno da raccontare i defunti.
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