Che cos’è un affido familiare? In cosa si differenzia da un’adozione? Sono alcuni dei quesiti a cui sono state fornite delle risposte ieri sera, al primo incontro di un ciclo di appuntamenti organizzati dall’Ulss2 e dal Centro per l’affido e la solidarietà familiare.
Incontri che proseguiranno anche il prossimo 17 e 26 settembre, il 1° ottobre, nella sala Portello di viale Spellanzon a Conegliano.
All’iniziativa hanno partecipato coppie sposate o conviventi, con e senza figli, assieme a persone single.
L’obiettivo di questi incontri, così come è stato dichiarato dalle relatrici della serata, è quello di “creare un rapporto nel tempo” tra i partecipanti stessi al corso.
Dal punto di vista pratico, l’affido è gestito dai Servizi sociali e dura tutto il tempo necessario al bimbo o ragazzo di poter tornare alla famiglia di origine.
Con l’affido, il bimbo non acquisisce la parentela con la famiglia affidataria e, solo in casi particolari, ne riceve la residenza.
“L’affido ha tantissime sfaccettature”, è emerso. In sostanza, si tratta di un’accoglienza temporanea di un bambino o un ragazzo, fino all’età di 18 anni, con la prospettiva di un suo rientro futuro nella famiglia di origine.
A differenza dell’adozione, durante l’affido viene corrisposto un contributo economico alla famiglia in questione, per il mantenimento del bimbo o ragazzo.
L’affido durerà per tutto il tempo necessario alla famiglia di origine di risolvere le proprie problematiche. Si tratta di nuclei familiari che presentano problematiche conclamate (patologie psichiatriche, problemi legati alla tossico o alcol dipendenza); elevati livelli di
conflittualità; mancate risorse familiari o parentali di sviluppo; famiglie con storie personali difficili; famiglie non proiettate sul benessere dei bambini.
In tali contesti, inoltre, mancano regole chiare e stabili, sussiste un continuo disordine quotidiano, emerge un’eccessiva responsabilizzazione dei figli (i maggiori fanno da padre-madre ai fratelli-sorelle più piccoli) e un certo disinteresse rispetto alla vita scolastica, mentre i figli rimangono soli per molte ore durante la giornata.
Di conseguenza, il minore in questo contesto potrà sentirsi arrabbiato, spaventato, disorientato, si crederà responsabile dell’allontanamento dalla famiglia di origine e avrà una bassa autostima.
In questi casi, questi bimbi e ragazzini vengono affidati per un certo periodo a famiglie normali, flessibili, che si lasciano aiutare e sono accoglienti e, soprattutto, non giudicano le famiglie di origine.
Tali famiglie dovranno mettersi a disposizione anche in funzione genitoriale, tenendo presente che quel bimbo o ragazzo non diventerà mai un figlio.
L’affido può riguardare sia coppie (meglio con figli, così da avere già sperimentato la genitorialità) che persone single.
Una progettualità, quindi, rivolta a quanti abbiano desiderio di dare aiuto, e soprattutto amore, a un bimbo o ragazzo che proviene da un contesto di difficoltà.
(Autore: Arianna Ceschin)
(Foto: Arianna Ceschin)
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