Nel cuore del Cartizze, tra le colline storiche ed uniche che ospitano, tra le altre anche l’azienda La Tordera, esiste un panorama che non è solo visivamente suggestivo, ma profondamente radicato nella storia. Qui, dove le viti affondano le radici in terreni ricchi di tradizioni e cultura, abbiamo l’opportunità di ammirare ceppi che risalgono a un’epoca lontana, tra il 1915 e il 1920, piantati in un periodo in cui il mondo era sconvolto dalla Prima Guerra Mondiale.
Ma il valore di queste viti non è solo storico: come sottolinea il direttore del consorzio di Conegliano e Valdobbiadene prosecco Docg Diego Tomasi, queste piante sono testimonianze viventi di una straordinaria capacità di adattamento e resistenza agli elementi. “La vite, come tutte le piante verdi, è una pianta sessile, – spiega Tomasi – cioè non si può muovere e quindi ha sviluppato una serie di strategie per poter sopravvivere all’ambiente, sia quelli nuovi sia alle varie perturbazioni”.
Uno degli aspetti più affascinanti di questa resilienza è l’apparato radicale della vite, descritto da Tomasi come “un organo estremamente intelligente che sa convivere con miliardi di batteri e funghi, che sa cercare l’acqua e tutti gli altri alimenti nutritivi”. Questo sistema permette alla pianta non solo di sopravvivere, ma di prosperare anche in condizioni avverse, sia climatiche che biotiche, come virus e funghi.
Tomasi introduce un tema di grande attualità e interesse scientifico: l’epigenetica ovvero la branca della genetica, che studia le modificazioni ereditabili che non alterano la sequenza del DNA, ma l’espressione genica, ci permette di comprendere come le viti possano adattarsi agli stress ambientalie trasmettere queste capacità alle generazioni successive.
“Nel corso della sua vita la pianta può mettere in atto delle strategie di modificazione dell’espressione genica, una parte di questi 30 mila geni che compongono il patrimonio genetico della vite viene silenziata o attivata in funzione degli stress – continua Tomasi – questo significa che le viti antiche che osserviamo oggi potrebbero aver sviluppato una sorta di memoria genetica che le rende più tolleranti alle malattie, come la flavescenza dorata o il mal dell’esca.
La scoperta che questi cambiamenti epigenetici siano ereditabili apre nuove prospettive per la viticoltura. “Se noi prendiamo una gemma di questa vite e facciamo una nuova pianta, questa sarà in tutto precisa alla madre”, afferma Tomasi, sottolineando l’importanza di selezionare cloni che possano garantire una viticoltura sostenibile. Questo approccio, che parte dall’osservazione e dalla valorizzazione dei ceppi antichi, potrebbe rappresentare una svolta per il futuro della viticoltura, in un mondo dove le malattie delle piante diventano sempre più aggressive.
“In questo modo possiamo pensare a una viticoltura che, ispirata dall’antica saggezza delle piante, possa affrontare le sfide moderne con metodi naturali e sostenibili, garantendo la salute delle viti e la qualità del vino che esse producono” conclude il Direttore.
(Autore: Simone Masetto)
(Foto e vide: Simone Masetto)
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