Oggi, sabato 12 marzo, è la prima Giornata nazionale di educazione e prevenzione contro la violenza nei confronti degli operatori sanitari e socio-sanitari.
Una giornata istituita per sensibilizzare la cittadinanza a una cultura che condanni ogni forma di violenza nei confronti dei lavoratori nella sanità.
Secondo una stima della Federazione italiana delle aziende sanitarie e ospedaliere, infatti, ogni anno sono circa 3 mila le aggressioni che si verificano in Italia contro medici e personale sanitario, mentre sono in media 1.200 le denunce ricevute dall’Inail.
Una giornata, pertanto, creata per porre l’attenzione verso un problema non indifferente. Nel frattempo, ieri il ministro della Salute, Roberto Speranza, ha riferito sulla propria pagina Facebook l’istituzione dell’Osservatorio nazionale sulla sicurezza degli esercenti le professioni sanitarie e sociosanitarie, osservatorio riunitosi proprio ieri.
“Gli episodi di violenza contro chi si prende cura degli altri sono inaccettabili – ha scritto Speranza -. L’Osservatorio avrà il compito di monitorare gli episodi di violenza e di proporre soluzioni per migliorare la sicurezza. Nessun lavoratore della sanità deve mai sentirsi solo quando lavora per la salute di tutti“.
Un’iniziativa, quella della Giornata di oggi, che è stata accolta positivamente anche dall’azienda sanitaria Ulss2: “È un’iniziativa importante per sensibilizzare sul tema”.
Un tema che ha voluto spiegare anche un’infermiera con esperienza nei reparti di emergenza-urgenza a Conegliano, che ha preferito mantenere l’anonimato nel riferire le situazioni di difficoltà vissute.
“Ho vissuto sia in prima persona queste problematiche sia anche con i colleghi – ha iniziato il suo racconto -. Di episodi ce ne sono tanti: in linea di massima sono aggressioni verbali. In particolare in alcuni reparti, come può essere il pronto soccorso, l’utenza si rivolge a te in momenti particolari della vita, quando succede qualcosa di molto importante e, quindi, pretende una presa in carico immediata. Però, dall’altra parte, avendo dei pazienti con difficoltà anche più importanti, si dà la precedenza a chi sta peggio, quindi la prima difficoltà è quella che le persone comprendano questo, un aspetto che devi applicare senza abbandonare gli altri, solo le tempistiche sono differenti. Succede che, spesso, sia il paziente sia il parente si stufino e quindi a volte passano all’aggressione verbale: per noi è pertanto difficile gestire il lavoro ordinario di cura e i parenti, che non comprendono l’organizzazione”.
Secondo il racconto, in alcuni casi volano accuse di incapacità e indolenza contro gli operatori.
“Noi del personale infermieristico siamo molto colpiti da questo, perché quando ce la metti tutta e cerchi di dare la migliore assistenza infermieristica, dall’altra parte hai persone che non comprendono. Quindi diventa il problema nel problema – ha proseguito -. Ci sono persone che pretendono che tu gli faccia degli esami senza che questi vengano prescritti, perché con l’avvento di Internet tutti si informano e ‘sanno’. E il Covid ha peggiorato tutto questo: anche solo riprendere le persone, indicando loro di indossare la mascherina nel modo corretto, fa sì che si scoccino nei nostri confronti”.
“L’ambulanza, inoltre, ha dei tempi tecnici di arrivo, specialmente di giorno con il traffico e per chi ti sta aspettando sembrano momenti interminabili – ha aggiunto -. Quindi, mentre tu stai lavorando con la persona per cui ti hanno chiamato, dall’altra parte i parenti urlano che sei arrivato tardi: devi gestire anche quella cosa. A volte sei costretto anche a interromperti, per chiedere che ti lascino lavorare: bisogna concentrarsi sulla persona che sta male”.
“Poi ci sono le condizioni psichiatriche, che mettono a rischio il personale – ricorda l’infermiera – Ad esempio, una volta, mi hanno puntato un’arma contro, perché la persona da soccorrere si era chiusa in casa, aveva un fucile e minacciava tutti da lì. Lavorare sul territorio è difficile”.
Allo stesso tempo è complesso anche assistere alcuni pazienti ricoverati che, secondo l’infermiera, “scambiano l’ospedale per un albergo”, non comprendendo che il personale deve assistere anche altri pazienti. Situazione che non è migliorata con il Covid, con la “difficoltà di curare i non vaccinati perché dubitano delle cure somministrate”, come riportato dall’infermiera.
“Ne ho sentite davvero tante e alcuni colleghi hanno vissuto questa situazione molto male”, ha raccontato specificando, però, che episodi di aggressività in realtà si verificavano anche in periodo pre pandemia, tanto che l’azienda sanitaria “offriva dei corsi proprio sul tema delle aggressioni, sulle tecniche per affrontare queste situazioni, perché da professionista non ci si può mettere sullo stesso piano di chi sta aggredendo”.
Poi, durante la pandemia, è stata offerta anche la disponibilità di un servizio di assistenza psicologica, un servizio attivo h24.
“Io ho iniziato ad avere ansia, sempre crescente, dovuta al pensiero del rischio di portare la malattia a casa, dai miei familiari, cosa che non mi era mai capitata in oltre trent’anni di lavoro – ha confessato -. Uno degli psicologi mi ha spiegato che era normale, vista la situazione: questo mi ha aiutato, perché ti viene da pensare ‘il problema sono io'”.
“In questi ultimi anni abbiamo notato un aumento delle aggressioni: prima dell’avvento dei social, la gente si fidava di più. Ora, con i social, ‘tutti sanno’ – ha affermato l’infermiera -. Anche vent’anni fa, in pronto soccorso, non passava giorno in cui qualcuno non ti dicesse ‘io ti denuncio’ e sentivi poche volte un ‘grazie’, forse per la tipologia di motivazione per cui entravano”.
Alla domanda sulla necessità, o meno, di un riconoscimento a tutta la categoria da parte del Governo, specialmente per il lavoro svolto durante la pandemia, l’infermiera ha risposto in maniera affermativa.
“Innanzitutto a livello economico: gli infermieri sono laureati e si lavora a turni, durante le feste, coprendo h24 – ha risposto -. Se qualcuno di noi sta male, capita di dover rinunciare a quell’unico riposo che si ha. Durante il Covid sono state bloccate le ferie. Abbiamo dei turni molto impegnativi e abbiamo bisogno di recuperare: bisogna mettere in atto sia la testa sia la forza fisica, per immobilizzare i pazienti e attraversare il reparto, ad esempio. Inoltre, non ci si può permettere di sbagliare la terapia o il milligrammo di quella terapia“.
“È un lavoro difficile, non tutti possono farlo – ha concluso – e sempre meno persone vogliono farlo, perché è molto impegnativo e ne risente la vita sociale e familiare. Poi c’è tutta la passione per il lavoro che devi avere per fare questo, perché capita di dover gestire tante brutte situazioni”.
(Foto: archivio Qdpnews.it).
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