A Conegliano ha fatto tappa ieri pomeriggio Patrick Zaki, ospite atteso all’ex convento di San Francesco, che per diverso tempo è stato, suo malgrado, protagonista della cronaca politica internazionale, a causa della sua detenzione in Egitto, avvenuta tra il 7 febbraio 2020 e l’8 dicembre 2021.
Un fatto che ha riscosso una certa attenzione mediatica sia in Italia che in Europa, con la mobilitazione di numerose persone in ambito civile e politico per la sua scarcerazione. Un caso che ha fatto riflettere sul tema dei diritti civili e umanitari.
L’aula magna ha fatto fatica a contenere il pubblico intervenuto per l’occasione all’iniziativa, organizzata dalla libreria Tralerighe, in collaborazione con Amnesty international e il patrocinio del Comune di Conegliano. A moderare l’incontro è stato il giornalista Mario Anton Orefice, il quale ha dialogato con l’ospite su tematiche come l’esperienza della detenzione, i diritti umani, le prospettive future di Zaki e i contenuti del suo volume “Sogni e illusioni di libertà. La mia storia”, edito dalla Nave di Teseo.
A dare il benvenuto all’ospite sono stati Riccardo Huster, della libreria organizzatrice dell’evento, e Davide Vestidello, in rappresentanza del gruppo di Treviso di Amnesty International.


Prima dell’inizio del suo intervento, Patrick Zaki ha risposto ad alcune domande ai microfoni di Qdpnews.it.
Qual è per te il significato di libertà dopo l’esperienza in prigione?
Sicuramente il concetto di libertà è cambiato dopo l’esperienza in prigione. Penso che non conosci davvero il significato di questa parola, finché non perdi la libertà stessa. Libertà è fare quello che vuoi, quando vuoi e dove vuoi, non certamente stare in una piccola cella 23 ore al giorno.
Significa viaggiare quando vuoi, dire quello che vuoi in qualsiasi momento. Si potrebbe stare qui ore a parlare sul significato del concetto di libertà, ma credo che nessuno possa davvero dire cos’è la libertà, finché non la perde.
Il concetto di libertà è l’argomento principale del tuo libro?
No, il mio libro parla principalmente di un’esperienza personale all’interno della prigione. Questa è una testimonianza dall’interno di com’è il carcere e una difesa dei miei colleghi che si trovano ancora lì in prigione, in questo momento, a causa delle loro opinioni.
Abbiamo ancora diversi “prigionieri di coscienza” all’interno delle prigioni in Egitto. Questo libro è un modo per dire alla gente quanto abbia ancora da lavorare per i diritti umani e per la libertà.
Quali sono i tuoi piani per il futuro?
Sto collaborando di nuovo con diverse istituzioni per i diritti umani come ricercatore (il mio lavoro prima della prigione) e sto facendo domanda proprio ora per un dottorato di ricerca, in maniera tale da poter proseguire la mia carriera accademica.


L’incontro con il pubblico
“Sono molto grato per il vostro supporto – è stata la premessa fatta da Zaki al pubblico in sala – Tutto è cambiato da quando sono uscito. Ricordo che, durante l’ora d’aria, non mi facevano uscire, ma camminavo in un tunnel lungo e stretto. Leggere i libri di Elena Ferrante era uno dei modi che avevo per passare il tempo: in prigione ho letto ‘L’amica geniale'”.
“Ricordo che ho fatto una ‘wish list’, una lista dei desideri: tra questi c’era quello di visitare quelle strade di Napoli descritte dalla Ferrante, una volta uscito – ha proseguito – Anche la radio mi ha aiutato molto. Cercavo di sintonizzarmi sulle stazioni delle notizie, in particolare la BBC (anche se non era facile), in modo da trovare risposta alla domanda: ‘Perché sono imprigionato?’. Poi cercavo di tenermi aggiornato sul calcio internazionale. Più sei cosciente di quanto succede fuori e meno armi contro di te hanno gli altri”.
“In prigione ho anche iniziato a giocare a scacchi, cosa che non facevo prima: richiede molta concentrazione. Ricordo che facevo i pezzi degli scacchi con il sapone che mi veniva portato in cella. Ho cercato di crearmi una routine in cella – ha spiegato – Non sapevo però che la gente in strada manifestasse per me“.
Tra le domande poste a Zaki, è emersa quella sull’accostamento fatto spesso della sua figura con quella di Giulio Regeni, dottorando all’Università di Cambridge, assassinato proprio in Egitto.
“Sono due casi diversi quello di Giulio Regeni e il mio: lui era un accademico, un ricercatore brillante, ucciso per le proprie ricerche. Le circostanze sono state diverse – ha risposto – Non è il caso che io venga a lui paragonato, perché non ho ancora fatto nulla rispetto a quanto ha fatto lui. Ci auguriamo che venga fatta giustizia”.
Sul conflitto israelo-palestinese, Zaki ha espresso la sua opinione: “Sono contro i conflitti in tutto il mondo – la sua premessa – Il nocciolo è che il governo di Netanyahu non ha mai voluto trovare una soluzione al problema. Bisogna trovare una soluzione il più presto possibile. Trovo inaccettabile che i governi non facciano nulla, ma devono adoperarsi perché il genocidio finisca presto”.
Tornando al periodo della detenzione, Zaki non ha potuto non citare quei momenti drammatici vissuti: “Ho lottato non solo per me, ma anche per gli altri, perché io avevo un supporto da fuori, mentra altri prigionieri erano più sfortunati di me – ha raccontato – I carcerieri erano preoccupati di quello che avrei potuto dire agli incontri con i miei genitori”.
“I criminali sono trattati molto peggio dei prigionieri politici, perché nessuno si cura di loro – ha aggiunto – Ricordo che una volta venni svegliato dalle urla di uno di loro che chiedeva: ‘Dov’è il ragazzo dei diritti umani?'”.
Per quanto riguarda il motivo della detenzione, Zaki ha ricordato di aver scritto degli articoli in tema di diritti umani, ma la sua prigionia avrebbe avuto a che vedere di più con il suo attivismo e per il fatto di essere contrario al regime in Egitto. “Era un modo per dire ‘noi non ci facciamo insegnare le cose da un ragazzino’ – ha spiegato – Durante la detenzione ero determinato a fare lo sciopero della fame, ogni volta che mi venivano negati dei diritti, ma non erano quelli i momenti più duri: la notte era il momento più difficile, quando mi chiedevo se avrei passato lì dentro tutta la mia vita e cosa ne sarebbe stato del mio futuro. Quindi, lo sciopero della fame non è stata tra le cose più dure che ho vissuto”.
Finito l’incubo, però, ora c’è spazio per uno degli amori della sua vita: la città di Bologna, dove studiava prima della detenzione. “A luglio tornerò a vivere lì con mia moglie, per un dottorato di ricerca – ha dichiarato – Mi è mancata molto piazza Maggiore, dove mi sedevo sui gradini a leggere. Mi piaceva molto passeggiare la sera tardi, tra le vie. Amo via Zamboni, che è la via dell’università. Sono molto legato a Bologna: è il luogo in cui mi sento a casa. Sono molto orgoglioso di essere uno dei figli di Bologna e ho un legame con i bolognesi stessi”.
“Poi sono un supporter sfegatato del Bologna: speriamo di qualificarci per la Champions League, perché la città se lo meriterebbe”, ha aggiunto.
E più in generale, sulla sua esperienza politica: “Volevo avere un impatto sulla comunità in cui ero ed è successo – ha spiegato – In famiglia non si parla di politica: per mia madre io sono il figlio pazzo che si è rovinato la vita con tutto questo attivismo politico. Non capisce perché io abbia lasciato una strada sicura (Zaki è laureato in Farmacia, ndr) per essere freelance. In realtà, però, anche lei è diventata ‘un’attivista sotto copertura’”.
“Se siamo tutti qui è perché crediamo nei diritti umani: la partita è ancora lunga, ma un giorno ce la faremo”, ha concluso, prima di ricevere un fragoroso applauso in sala.
(Foto e video: Qdpnews.it ©️ riproduzione riservata).
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