Domani, giovedì 28 ottobre, le oltre 630mila firme raccolte finora per il referendum sulla legalizzazione verranno depositate in Corte di Cassazione.
“Il referendum elimina il reato di coltivazione, rimuove le pene detentive per qualsiasi condotta legata alla cannabis e cancella la sanzione amministrativa del ritiro della patente“: questa la specificazione che si legge su referendumcannabis.it.
La sanzione è prevista non solo per chi guida sotto l’effetto di sostanze stupefacenti (e ad oggi la cannabis è considerata tale), ma è anche disposta in tutti i casi di detenzione, dunque si applica anche quando la condotta non costituisce reato e la sostanza è destinata esclusivamente all’uso personale. Il referendum incide solo su quest’ultimo aspetto, non sul primo, quindi il conducente drogato rimane punibile.
Il quesito referendario incide sui seguenti tre aspetti: abolisce il reato di coltivazione di cannabis, attualmente previsto dal Testo Unico sugli stupefacenti (tecnicamente ciò avviene eliminando la parola “coltiva” dall’elenco delle condotte vietate); cancella le pene detentive previste per questa condotta, che oggi consistono nella reclusione da due a sei anni; elimina la sospensione e il ritiro della patente di guida (o il divieto di conseguirla) per chi coltiva cannabis, ma non per chi si mette al volante sotto l’uso di tale sostanza.
Un argomento che ha fatto sicuramente discutere non solo a livello nazionale ma anche a livello locale: dai giovani agli adulti fino agli anziani, tra chi è a favore di un’eventuale legalizzazione, a chi ha più di qualche dubbio a chi è totalmente contrario.
Perché legalizzare allora? “Perché così facendo – ammette una giovane valdobbiadenese – si porterebbero riscontri positivi sia per la comunità che per le casse dello Stato”.
C’è anche chi, tra quelli a favore, pensa che si possa, grazie a un’eventuale allentamento come in altri Stati, indebolire le attività criminali e allo stesso tempo ridimensionare il mercato illegale.
Ricordiamo che il referendum sulla cannabis legale interviene contemporaneamente su due diversi fronti: sul piano penale, eliminando il delitto di coltivazione illecita di questa pianta e le correlative sanzioni detentive: in pratica, questa condotta sarà depenalizzata e chi coltiva piante di marijuana non andrà più in carcere; ma dovrà farlo solo per sé, per il proprio consumo personale, in quanto la coltivazione a fini di spaccio rimane punibile; sul versante amministrativo, ma solo eliminando la sanzione accessoria della sospensione della patente per chi detiene cannabis, o sostanze assimilate, per il proprio consumo personale, senza finalità di cessione a terzi.
Si può dire che, se il referendum passerà, chi avrà una coltivazione di piccole dimensioni, con poche piante di marijuana sul balcone o nel giardino, non commetterà alcun reato, diversamente da chi, per esempio, ha una grossa serra o un ampio terreno (perché in questi casi il quantitativo prodotto esorbita da quello necessario per l’uso personale).
Inoltre, sul versante penale, un’importante eccezione alla depenalizzazione è data dal fatto che rimarrà reato l’associazione a delinquere finalizzata al traffico illecito di cannabis, perché la relativa norma penale non è toccata dal referendum.
C’è chi però dice no ed è scettico su un eventuale beneficio per comunità e cittadini: “Legalizzare la marijuana creerebbe un effetto domino sui ragazzi – sostiene un cittadino valdobbiadenese – che, col tempo, potrebbero essere indotti al passaggio verso droghe più nocive e pesanti”. O chi invece la utilizzerebbe esclusivamente a scopo medico.
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