Avrebbero dovuto rientrare dalla Catalogna un mese fa, ma la pandemia ha cambiato i loro piani lasciandoli ancora al di là del Mediterraneo in attesa di sapere se, quando e come rincasare.
I coneglianesi Marta Modolo, 34 anni, e Lorenzo Fattorel, 35, sono tra gli italiani impegnati all’estero per lavoro o studio che non hanno ancora fatto rientro nella madrepatria: una decisione presa per una serie di motivi, che l’archeologa Marta spiega così: “Da metà marzo siamo “rinchiusi” nell’abitazione che da gennaio occupiamo a Tarragona, in Catalogna. È successo quando, molto più velocemente rispetto all’Italia, le autorità locali hanno chiuso molte attività. Dovevamo tornare in patria il 27 febbraio però per ora rimaniamo qui fino a data da destinarsi perché il viaggio ci porterebbe a imbarcarci su voli o navi che non arriverebbero a Venezia e poi su treni e auto. Dovremmo insomma attraversare mezza Italia, con tutti i rischi del caso”.
“Non abbiamo tutta questa urgenza di rimpatriare – spiega il compagno Lorenzo, architetto – perché non riteniamo che le misure attualmente in atto possano garantire l’incolumità per noi e per i cari che ci aspettano a casa. Non ce la sentiamo, da Tarragona, di arrivare in pullman fino a Barcellona, prendere una nave fino a Civitavecchia, da lì un altro mezzo per Roma e dalla capitale un treno per Mestre e poi per Conegliano, dove abbiamo anziani e persone immunodepresse e dove dovremmo scontare la quarantena, che riteniamo una misura giustissima ma che non possiamo fare in casa dove tutti i nostri cari sono sani mentre noi dovremmo fare un lungo viaggio a rischio di promiscuità. Perciò per ora rimaniamo qui, sapendo che i nostri familiari sono nelle migliori mani possibili perché la sanità veneta è impeccabile e gli amministratori stanno prendendo le misure più idonee”.
Anche se negli ultimi giorni la situazione in Spagna è generalmente peggiorata, in Catalogna il tasso di obbedienza alle disposizioni delle autorità è altissimo: “I catalani hanno un grande senso civico – concordano Marta e Lorenzo – ancora prima che il governo della Generalitat, un’autorità locale più potente rispetto alle nostre Regioni, ponesse forti restrizioni alle attività lavorative e chiudesse le scuole, i cittadini avevano già iniziato a tapparsi in casa. Intorno a metà marzo eravamo in una sede universitaria e abbiamo notato che c’era già stato un calo delle presenze ancor prima che entrassero in vigore le restrizioni. La gente aveva iniziato a cambiare le proprie abitudini vedendo ciò che stava accadendo all’estero, soprattutto in Italia. La Generalitat è riuscita a chiudere le scuole dalla sera alla mattina, dopodiché ci aspettavamo di vedere tutti gli studenti riversarsi in spiaggia, e invece quando siamo usciti per fare la nostra ultima spesa la città era deserta, spiagge comprese”.
Come passate le giornate da “reclusi”? “Siamo bravi, ci inventiamo le cose – prova a sorridere Marta – abbiamo da leggere e studiare, io ho chiuso da poco alcune pratiche relative al progetto Relacus per la tutela e valorizzazione dei laghi di Revine e Tarzo e tra qualche mese inizierò un lavoro per l’Università di Ferrara. Partecipiamo a progetti per borse di studio e finanziamenti legati a un dottorato di ricerca. Abbiamo la fortuna di avere un terrazzino perciò riusciamo anche a prendere il sole”. Anche se il pericolo, anche in Catalogna, è tutt’altro che sconfitto: “Negli ultimi 4-5 giorni i casi sono aumentati, soprattutto al di fuori di Barcellona. Giovedì il Governo centrale ha tolto il confinamento in alcuni Comuni catalani per poi rimetterlo poche ore dopo”.
(Fonte: Redazione Qdpnews.it).
(Foto: Qdpnews.it).
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