“Se la vita prende una brutta piega… dacci un taglio” è il nome di un incontro informativo tenutosi ieri lunedì sera nella sede coneglianese di Confartigianato, in collaborazione con l’azienda sanitaria Ulss 2 Marca trevigiana, le associazioni di categoria e i centri antiviolenza territoriali.
Un’iniziativa per parlare di violenza di genere con gli operatori del benessere, per spiegare come comportarsi di fronte a eventuali confidenze da parte di donne vittime di maltrattamenti.
Un modo per allargare ulteriormente la rete di supporto nel territorio già presente e far conoscere tutti i servizi a disposizione: questo perché proprio a parrucchieri ed estetiste è stato consigliato, in occasione di eventuali confidenze, di indicare i servizi di supporto esistenti, sempre mantenendo un certo grado di discrezione e senza esercitare alcuna pressione, per non mettere in una posizione di disagio le donne in questione.
Quindi un ascolto senza giudizio, ma con rassicurazione e sostegno, senza pressioni (da escludere la frase “devi fare questo o quello”). Risulta quindi “fondamentale essere empatici”, facendo capire alla donna che non è da sola.
“Nessuno può fare il cambiamento da solo, – è stato detto – ma richiede piccoli passi”.
In premessa all’appuntamento, sono stati elencati diversi dati sulla situazione, anche nazionale, in tema di violenza di genere, un problema che, secondo le relatrici della serata, deriva soprattutto da un certo tipo di mentalità duratura nel tempo.
Alcuni dati in tema di violenza di genere
Sul fronte dei dati, a livello globale 15 milioni di ragazze, di età compresa tra i 15 e i 19 anni, sono state vittime di violenza di genere (con tutti gli effetti a lungo termine del caso). Un problema che, nella fascia d’età tra i 16 e i 44 anni, costituisce la prima causa di morte: in sostanza, ci sono più vittime di femminicidio che di mafia.
Da sapere che, in fatto di autori di femminicidi, violenze e maltrattamenti, non sussistono differenze di etnia e di ceto sociale, ovvero tali fatti non avvengono di più in determinati ambienti rispetto ad altri ma, purtroppo, è un fenomeno largamente diffuso.
In Veneto, nel frattempo, sono sette i centri rivolti agli autori di violenza.
Si stima che nel nostro Paese, dal 2000 a oggi, ci siano più di 2.000 orfani di femminicidio anche se, come è emerso, manca un osservatorio nazionale che raccolga tutti i dati in maniera precisa.
“La violenza non bussa alla porta…ha le chiavi di casa”, è stato uno degli slogan emersi, per far comprendere quanto il pericolo sia spesso, in questi casi, dentro le mura domestiche.
Le relatrici hanno quindi mostrato le tre fasi del percorso di violenza: la prima presuppone una crescita della tensione, quando la donna ha paura di parlare, mentre l’uomo la sminuisce; nella seconda fase emergono i maltrattamenti; la terza è la cosiddetta “fase della luna di miele”, in cui l’uomo capisce che sta perdendo terreno, dimostrando pentimento, attenzioni amorevoli con uno scarico di responsabilità (“mi sono comportata così perché tu…”).
Il cerchio poi riprende dall’inizio, con un’escalation più forte. Il “conflitto” è diverso dalla “violenza”: nel primo caso, infatti, i partner sono alla pari, discutono e trovano un punto di incontro; nel secondo caso, invece, si verifica la volontà di sopraffare, anche fisicamente oltre che verbalmente, dell’uomo.
La violenza assume diverse facce: può essere, ad esempio, economica, psicologica, sessuale, stalking, cyberstalking, revenge porn, violenza sui posti di lavoro.
Gli operatori del benessere possono notare che qualcosa non va tramite alcuni segnali, coma ritardi o cancellazioni degli appuntamenti, racconti incongruenti in riferimento a ematomi, lividi, bruciature.
A loro, quindi, è stato consegnato del materiale informativo, completo dei servizi (con i loro contatti) sul territorio, così da poterli veicolare a chi ne ha bisogno: il compito richiesto è stato infatti quello di fare da tramite tra i servizi e le donne in difficoltà, costituendo così un nuovo anello importante della catena.
Tutto in un’ottica di ascolto, considerato che a volte capita che la donna maltrattata abbia paura di contattare le Forze dell’Ordine (“non voglio denunciare perché non voglio fare del male al padre dei miei figli”, è una frase ricorrente).
Importante anche il ruolo dei centri antiviolenza, necessari a queste donne “per sganciarsi da situazioni di violenza e maltrattamenti”, così da poter realizzare un nuovo progetto di vita.
Allo stesso tempo, i centri stessi si fanno promotori di iniziative a carattere preventivo negli ambienti scolastici.
Un incontro, quello di ieri sera, per prendere coscienza di questi atti e di un fenomeno sociale divenuto sempre più preoccupante. Le relatrici hanno però messo in guardia: “Non giustifichiamo gli uomini autori di violenza con degli alibi (ad esempio la paura della separazione, ecc..), perché si arrogano il dovere di decidere per la vita di un altro”, è il concetto emerso.
Per coloro che si trovassero in difficoltà, da ricordare la possibilità di contattare il 1522, numero di pubblica utilità nazionale antiviolenza.
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