Affrontare il tema dell’alcologia significa mettere sotto la lente d’ingrandimento un problema che per la singola persona si traduce nella distruzione dei legami sociali e nell’aumento esponenziale del rischio di malattie alcool correlate e di incidenti mortali. I giovani, anche giovanissimi, sono una delle prime fasce a rischio tenendo conto dei 36 milioni di consumatori di sostanze alcoliche in Italia (dati ISS).
Come spiega Augusta Carpenè, presidente di A.C.A.T. (Associazione Club Alcologici Territoriali) Sinistra Piave con sede a Conegliano, la percentuale di popolazione che soffre di alcolismo nelle aree storicamente legate alla produzione enologica è superiore alla media nazionale (2-3 %). È il caso della Sinistra Piave, dove la cifra si attesta attorno al 4% su una popolazione di circa 220 mila abitanti. Lo stigma sociale, la vergogna ma anche la scarsa consapevolezza sono i principali ostacoli che la persona affetta da alcolismo deve superare per arrivare a chiedere aiuto. Eppure la via di uscita dal meccanismo distruttivo che avvicina al bicchiere c’è, e il territorio conta almeno una ventina di Club alcologici A.C.A.T. che offrono supporto alla persona e ai suoi familiari.
“A.C.A.T. dal 1990 adotta il metodo Hudolin – racconta la presidente Carpenè -. Questo metodo prende il nome dal professore e psichiatra jugoslavo Vladimir Hudolin (1922 – 1996 ndr) che fu anche responsabile della clinica psichiatrica di Zagabria e consulente dell’Organizzazione mondiale della sanità per le dipendenze, in particolare per i problemi alcol correlati. Suo padre soffriva di questa problematica, da lì la volontà del professor Hudolin di dedicarvi le sue ricerche”.
La differenza fra A.C.A.T. e l’associazione Alcolisti Anonimi risiede proprio nel metodo. “Ciò che ci differenzia dagli A.A., che è nata prima di noi, è il coinvolgimento della famiglia – prosegue Augusta Carpenè – . Il club è il cuore della nostra associazione dove si svolgono gli incontri dedicati a chi soffre di problemi alcolcorrelati e alla sua cerchia famigliare. Gli incontri avvengono con cadenza settimanale, durano un’ora e mezza ciascuno, e sono moderati dalla figura del ‘servitore insegnante’ che viene preparata attraverso dei corsi specifici”.
Al centro di questi corsi rivolti ai volontari A.C.A.T. c’è anche la corretta denominazione del disturbo. “Si parla di ‘stile di vita’ e non di malattia – precisa la presidente del Club territoriale con sede principale nella Casa delle Associazioni di Conegliano -. È bene distinguere infatti tra lo stile di vita che porta all’abuso di alcol e le malattie che si possono sviluppare di conseguenza. Chi ha questa dipendenza si trova intrappolato in un meccanismo che impedisce di smettere di bere. Tuttavia uscirne è possibile, basta chiedere il giusto supporto, cosa che non è facile poiché la persona si sente sola, isolata e prova vergogna per la propria condizione”.
In questo frangente si inserisce la famiglia, che partecipa al percorso ma che spesso è la prima a non interpretare correttamente i segnali di allarme che arrivano dal famigliare con dipendenza. “La famiglia spesso fatica a riconoscere che c’è un problema – prosegue Carpenè -. I campanelli d’allarme sono cambi improvvisi di umore, irritabilità e un dialogo che diventa inesistente, tuttavia si fatica a capire che è proprio l’alcol a determinare questi cambiamenti. Alle persone affette da dipendenza e alle loro famiglie voglio dire che noi ci siamo: sul territorio abbiamo 20 Club A.C.A.T. (distribuiti fra Vittorio Veneto, Conegliano, Pieve di Soligo e Susegana ndr). Invito a visitare il nostro sito www.acatsinistrapiave.it per cercare il club più vicino dove trovare supporto in un luogo in cui non si viene giudicati. Chiunque, senza distinzione, può cadere nella dipendenza”.
Lo studio dei problemi alcol correlati ha fatto molti passi avanti con il tempo: “negli anni Cinquanta e Sessanta chi si trovava in uno stadio avanzato della dipendenza veniva messo addirittura in manicomio – conclude Carpenè -. La medicina fortunatamente è progredita, e oggi si parla appunto di ‘stile di vita’ errato”.
La strada da fare però è ancora lunga e a dirlo sono i dati. “Nella sinistra Piave trevigiana, e dunque in una zona dove c’è una forte produzione di alcolici, si arriva al 4% della popolazione con problemi di dipendenza da alcol, il che significa circa 7 mila persone su 220 mila abitanti”.
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