A quasi quattro anni dalla sua scomparsa e dal ritrovamento del suo corpo senza vita, l’indagine sulla morte di Sofiya Melnik resta aperta.
Ad averla praticamente bloccata è il silenzio da parte delle autorità americane sulla richiesta della Procura di Treviso di avere accesso ai server che consentirebbero di analizzare i profili Facebook e le email della donna e del compagno Pascal Albanese, 50 anni, ritrovato morto suicida dodici giorni dopo la scomparsa della donna.
L’inchiesta per omicidio è stata aperta dal sostituto procuratore Giulio Caprarola la vigilia di Natale del dicembre 2017, quando il corpo della 43enne interprete ucraina era stato trovato da un cacciatore in fondo a un burrone sul Monte Grappa. La donna era scomparsa il 15 novembre e a denunciarne la sparizione era stato, qualche giorno dopo, il compagno Pascal.
Un giallo che, dopo mesi di indagini da parte dei Carabinieri, aveva portato all’ipotesi di un omicidio-suicidio da parte dell’unico sospettato del delitto, il compagno ormai deceduto.
L’uomo l’avrebbe uccisa perché Sofiya aveva una relazione con un medico di Montebelluna e sarebbe stata intenzionata a troncare la loro convivenza.
Un rapporto particolare il loro, strettamente legati anche se lei intratteneva relazioni con uomini facoltosi.
Pascal l’avrebbe uccisa lo stesso giorno della scomparsa, quando le telecamere di videosorveglianza della zona hanno registrato il passaggio della Renault Megane di Sofiya tra Cornuda e il Monte Grappa.
In quella zona si è verificato anche l’ultimo avvistamento di Sofiya e Pascal che quel pomeriggio sono stati visti in una gelateria di Pederobba dove hanno mangiato un gelato.
Poi il viaggio verso i tornanti del Grappa e, forse, l’ultima violenta lite e la fine della vita di Sofiya.
L’autopsia ha accertato che la donna è stata brutalmente picchiata, finita con un colpo al collo, scaraventata nel burrone e lasciata agonizzare fino alla morte.
L’indagine coordinata dal sostituto procuratore Caprarola, accertata la morte per suicidio di Albanese (confermata dall’autopsia), avrebbe escluso la possibilità di altri sospettati.
Per chiudere l’inchiesta però, è fondamentale un ultimo tassello, l’analisi dei profili Facebook e delle email della coppia alle quali la procura non ha ancora potuto avere accesso. Due anni fa era partita la prima richiesta verso gli Stati Uniti, ma la risposta era stata negativa.
Per questo Caprarola è intenzionato a presentare una nuova istanza di accesso, chiedendo allo Stato italiano di sollecitare il ministero di giustizia americano.
(Foto: archivio Qdpnews.it).
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