Oggi, in occasione della “Giornata nazionale del Fiocchetto Lilla dedicata ai disturbi del comportamento alimentare”, Qdpnews.it – Quotidiano del Piave ha voluto raccontare la storia di Erica Condio (in foto), avvocato e assessore del Comune di Cornuda.
Condio ci ha parlato dell’anoressia, una malattia subdola e meschina che “scava dentro l’anima”, generando un vortice di dolore nella persona che soffre di questa patologia e in chi le vuole bene.
“I sintomi dell’anoressia si sono manifestati all’inizio della terza superiore – racconta l’assessore cornudese -. All’epoca ero schiva, avevo un’inquietudine dentro e tanta paura di non essere all’altezza, di non esser abbastanza brava. Mi sentivo molto sola e avevo pochi amici. Ad un certo punto ho smesso di mangiare, ma non mi sono resa subito conto della situazione che stavo vivendo. A scuola buttavo la merenda, lasciavo il cibo sul piatto e mangiavo solo verdura”.
“Non so quanti chili ho perso in quei primi mesi – continua -. Comprensibilmente i miei genitori si sono allarmati e si sono confrontati con il mio medico di base che mi indirizzò al servizio di psichiatria, all’epoca (parliamo del 1996) l’unico riferimento per questo tipo di patologie. Ricordo che mi disse che non ero né la prima né l’ultima ragazzina in questa situazione e questa frase, priva di tatto e rispetto, penso la dica lunga su quanto poco fosse considerata questa condizione”.
La famiglia dell’assessore Condio si sentiva impotente e sola nell’affrontare questo problema di cui si sapeva ben poco.
“Nel frattempo mi ero chiusa in un mondo tutto mio – prosegue -, dove entravano solo la scuola, la passione per la Ferrari e la letteratura. Posso dire che la scuola mi ha dato una grossa mano, nel senso che il mio voler proseguire negli studi a tutti i costi mi ha dato lo stimolo per non lasciarmi sopraffare. Raggiunsi un peso basso, ma non ho mai affrontato l’esperienza del ricovero fortunatamente”.
“L’anno della maturità è stato per me quello della ripresa – racconta -, in tutti i sensi. Ho riacquistato peso e una certa serenità che mi ha portato al diploma e poi all’iscrizione all’università e così al resto della mia vita. In tutta onestà non posso dire che la partita con il disturbo alimentare sia definitivamente archiviata, ho dovuto scavare e continuo a scavare a fondo per ‘guarire’ quel che mi ha portato al disturbo. Ci sono dei momenti in cui mi sento più fragile, in cui quella voce torna a farsi sentire e devi affrontarla al meglio di quel che hai sulle gambe in quel momento”.
“Credo però che un percorso non vada giudicato sulla base delle eventuali ricadute (che possono capitare) – continua -, ma in base alla volontà di non rassegnarsi e continuare a lottare, anche quando tutto sembra contro o più grande di te. Non mi sento un esempio e non voglio insegnare niente a nessuno, ma ci tengo a dire che tante volte l’anoressia e i disturbi del comportamento alimentare in genere sono una risposta reattiva a un disagio ben più profondo e radicato, che ti fa soffrire così tanto da non poterlo tollerare, e allora cerchi qualcosa che ti illude di darti sollievo ma che se con una mano ti seduce, con l’altra ti toglie tutto”.
“Non mangiando credi di stare meglio e spesso hai la sensazione di avere il controllo su qualcosa – prosegue -, sul caos emotivo che senti dentro. Ti senti forte, invincibile, superiore a tutto, sei bravo perché riesci ad aver il controllo sulla fame, riesci a perdere chili. Dal sentirti invisibile diventi visibile al mondo. Mangiando non senti gli altri dolori che ti tormentano, o li senti meno, ma non capisci subito cosa avviene dentro di te, di certo non ne sei consapevole”.
L’assessore Condio, anche nei momenti in cui ha perso molti chili, non riusciva a vedersi “pelle e ossa”: per questo, pensando all’anoressia, ha parlato di dispercezione e di una vera e propria dipendenza.
“Quello che mi ha aiutato è una grande forza di volontà – aggiunge -. Non mi sono mai voluta arrendere e in me c’è sempre stata la consapevolezza che quella che stavo vivendo non era vita vera. Non mi sento di dare particolari consigli, se non quello di non banalizzare mai questi disturbi. L’anoressia non va considerata un vezzo, una moda o un capriccio ma è una malattia a tutti gli effetti, un dolore silenzioso per chi la vive e per le persone a noi vicine”.
“Con l’anoressia – precisa – ti distruggi lentamente ma non riesci a smettere; sai che ti stai facendo del male, ma senza quella finta illusione hai paura di sentirti peggio. Si crea un circolo vizioso difficile da spezzare. Difficile ma non impossibile. Per curare i disturbi alimentari è indispensabile una rete. La famiglia da sola non può farcela, ciascuno deve fare la sua parte. Occorre un approccio multidisciplinare, che coinvolge svariate figure professionali. Determinante però è lo scatto che deve fare chi ne soffre. Chiedere aiuto è il primo passo, il più difficile ma fondamentale”.
“Parlare con qualcuno di preparato è fondamentale – prosegue -. Un tempo mancavano le strutture di riferimento per iniziare un percorso di cura ma ora non è così. Forse manca la rete di base nelle scuole. Secondo me i social hanno sdoganato tanti argomenti, perché si parla di più di questi temi, ma il problema è che talvolta si passa dall’esasperare e ‘incitare’ la malattia (le foto di corpi sempre più magri, di fisici insostenibili) a far della guarigione un contenuto per attirare follower o addirittura un prodotto”.
“A volte – continua -, se stai vivendo un disagio, ascoltare certe testimonianze ti fa sentire inadeguato. Servirebbero quindi maggiore delicatezza e consapevolezza di quello che si sta trattando. Quando si parla di anoressia non si sentiranno mai due storie uguali. Io ho sempre pensato di non essere la mia malattia e non volevo limitarmi ad essere solo quello. Questa consapevolezza mi ha aiutato ad arrivare alla laurea e ad altri piccoli o grandi traguardi della mia vita”.
“Qualcuno potrebbe pensare che io sia inadeguata a ricoprire gli incarichi che ho – sottolinea -. Probabilmente nella loro situazione lo penserei anch’io, ma queste fragilità sono parte di me, mi hanno portato ad essere quel che sono, sono consapevole di esserlo e provo a migliorarmi ogni giorno, affrontando le mie fragilità e i miei problemi come ciascuno di noi. A chi soffre di questa malattia dico di non arrendersi ai momenti bui, di non stancarsi di chiedere aiuto o di bussare a porte”.
“Certo – conclude -, è una questione di risorse personali e caratteriali, della pasta di cui sei fatto e che ti sei costruito. È veramente complesso. L’amore degli altri aiuta ma non salva, non puoi demandare a chi ti sta vicino il compito di darti quell’amore per te che tu non hai, o di darti quel valore che tu non senti di avere. Questo crea dipendenza affettiva che si aggiunge ad altra dipendenza. Non devi essere perfetto per meritare amore e meritare di vivere. La prima cosa che direi a un ragazzo o a una ragazza che sta vivendo questo problema è: ‘Non sei inadeguato, e se lo sei tu lo sono anche io che a quarant’anni sto ancora con il mio cubo di Rubik in mano. E allora almeno ci facciamo compagnia. Non sei solo”.
(Foto: per concessione di Erica Condio).
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