“Ho denunciato io Alex Schwazer la prima volta, perché il doping mi ha sempre fatto schifo, ma poi ho conosciuto un ragazzo onesto che era ed è un fenomeno della marcia mondiale. I signori del doping per ammazzare me hanno ammazzato lui e così hanno ammazzato l’atletica”.
Le verità del professor Sandro Donati, maestro di sport a tutto tondo e allenatore romano del campione olimpico Alex Schwazer, venerdì sera hanno lasciato a bocca aperta il numeroso pubblico arrivato all’auditorium Santo Stefano di Farra di Soligo.
Un evento fortemente voluto da Atletica Sernaglia, dall’intera famiglia Tubia (con Afra che ha condotto magistralmente due ore di intervista) e dall’amministrazione Perencin, rappresentata dall’assessore allo sport Manuela Merotto.
Una serata ricca di contenuti molto scottanti, a tratti da far gelare il sangue, in cui Donati ha cercato di tracciare il filo conduttore del suo ultimo libro “I signori del doping: il sistema sportivo corrotto contro Alex Schwazer”, partendo dalla marea di documenti presenti nel volume uscito per Rizzoli lo scorso agosto e da un’esperienza di una vita nel mondo dello sport internazionale, delle federazioni nazionali e internazionali di atletica, delle agenzie antidoping, di un sistema che pur di non perdere soldi spesso è pronto a distruggere fisicamente i propri atleti, rendendoli “gente che si prostituisce per ottenere prestazioni migliori”, e a fare piazza pulita di chi denuncia, con prove alla mano, verità scottanti che screditano l’integrità morale delle istituzioni sportive, la WADA (Agenzia mondiale antidoping) e la IAAF (International Association of Athletics Federations) in testa.
Non è dunque un caso che le presentazioni dell’ultimo libro di Donati – quello che Oddone Tubia ha definito “Un vademecum per l’atletica pulita e un testamento a futura memoria” – siano state fortemente osteggiate e boicottate (non è il caso di ieri sera e di quelle avvenute nel Nord-Est italiano), tanto da spingere molte amministrazioni comunali a fare marcia indietro di fronte a quella che Donati ha definito “un uso roboante del ruolo delle istituzioni sportive tale da imporre una manipolazione orribile dei fatti e da accusare me e Alex di essere dei millantatori“.
“In questi anni – ha proseguito Donati – hanno distrutto l’Alex sportivo, ora vogliono distruggerlo anche come persona, vogliono sempre più negare il diritto della vittima di poter parlare. Pensate che un mese fa Alex era con me a Zero Branco per una presentazione del mio libro e subito è stato fatto un esposto alla federazione internazionale dell’atletica, ovviamente accolto immediatamente, in cui veniva contestato ad Alex di aver partecipato ad un evento sportivo (è escluso dalle competizioni fino al 2024, ndr). Ci rendiamo conto di cosa dicono? Da quando in qua la presentazione di un libro è un evento sportivo?”.
Qual è la storia di Alex Schwazer? Nel 2008 vince la 50 km di marcia alle Olimpiadi di Pechino a soli 23 anni e diventa la star dell’atletica italiana. Peccato che il suo allenatore ceda subito alla corte della federazione cinese e lo abbandoni per allenare i suoi principali avversari. Alex si trova da solo, il Gruppo sportivo dei Carabinieri gli assegna un nuovo allenatore che – ha affermato Donati – “non era all’altezza di Alex e dei suoi allenamenti monstre”. Alex allora cade in uno stato di solitudine e di smarrimento, perde la fiducia in se stesso, inizia dunque a doparsi di Epo (che acquista in Turchia) e a prendere antidepressivi, “che gli vengono somministrati via email” ha precisato Donati.
E’ il suo futuro allenatore, il signore dello sport che schifa il doping e che è consulente di molte istituzioni che lottano contro di esso, a denunciarlo nel 2012. Il 23 aprile del 2013 il Tribunale nazionale antidoping lo squalifica per 3 anni e 6 mesi, poi aumentati di altri 3 mesi per aver eluso il prelievo dei campioni biologici.
Schwazer ammette le sue colpe in una storica conferenza stampa e poi sceglie di rivolgersi al professor Donati, il “paladino dell’antidoping”, che tempo dopo scoprirà essere la persona che l’aveva denunciato. Donati lo porta con sé a Roma, lo ospita a casa sua, lo fa seguire da professionisti di fiducia e gli indica la strada verso l’atletica pulita, onesta e senza inganni. In pochissimo tempo è di nuovo pronto ad allenarsi e gli confessa di essere felice. I tempi monstre di una volta arrivano subito, anzi fa di meglio, e contemporaneamente è sottoposto a 42 controlli antidoping consecutivi, oltre a decine di consulenze ed esami; tutti negativi. Alex si migliora soltanto con la sua forza della rivincita per dimostrare a tutti che si può vincere senza “aiutini”, contrariamente a quanto si faceva da tantissimo tempo in molte nazionali.
E’ lo stesso Donati a dirlo: “Tralasciando il caso Russia, quando la FIDAL mi affidò l’incarico di allenare i mezzofondisti della Nazionale, i dirigenti mi dissero subito che dovevo dopare i miei atleti perché bisognava vincere. Io e i miei ragazzi ci rifiutammo, gli altri atleti non lo fecero“.
E qui si è inserita la testimonianza in diretta di Giovanni Modesto Bonan, ex azzurro dei 3000 siepi oggi professore di educazione fisica alle medie di Valdobbiadene, chiamato da Donati a sorpresa. Bonan ha infatti affermato: “Negli anni ’80 ho vinto per tre volte consecutive i campionati italiani e dovetti usare tutto il mio caratteraccio per farmi inserire nella squadra delle Universiadi, non mi volevano, non stavo alle loro direttive. Poi mi chiamarono nei raduni nazionali più importanti in vista delle Olimpiadi di Los Angeles. Facevo 15 allenamenti a settimana ma non bastavano, gli altri andavano più forte perché si dopavano, a me imbrogliare non andava e perciò non riuscii a qualificarmi per un solo secondo. Sono nato in una famiglia contadina e l’onestà era stato il primo insegnamento“.
Ritornando ad Alex Schwazer, il marciatore allenato da Donati comincia a fare tempi da paura, fino al giorno dell’apoteosi. L’8 maggio 2016 ritorna alle gare dopo la lunga squalifica e stravince i mondiali a squadre di Roma: dà 1 km di distacco all’avversario (il campione olimpico cinese in carica) e non va nemmeno a tutta perché Donati gli consiglia di risparmiarsi. “Poteva vincere a occhi chiusi la 20 e anche la 50 km a Rio, per non parlare dei tempi fatti a Tokyo, che fanno ridere rispetto a quelli di Alex in allenamento” ha punzecchiato Donati.
“Schwazer era un fenomeno, andava fortissimo, non aveva assolutamente bisogno di doparsi e a Pechino non era drogato. Io non ero Re Mida, ho solo creduto in lui, nella sua voglia di onestà e ho proposto le mie metodologie di allenamento ad un ragazzo splendido che si allenava sulla strada, non nei centri sportivi” ha precisato Donati.
In vista dei Giochi di Rio de Janeiro dell’agosto 2016 arriva la mazzata, quella che Donati a Farra ha chiamato “l’agguato di Capodanno”. Alex in un’intervista dichiara che i medici della FIDAL sapevano che nel 2012 si dopava e che non avevano detto nulla insabbiando tutto. E così parte il piano per escluderlo dalle Olimpiadi brasiliane.
“Comparvero provette di urine sospette – ha raccontato Donati -, solo che in quelle provette i Ris di Parma trovarono due DNA diversi, uno non era di Alex. Nel controllo antidoping del 1° gennaio 2016 emerse che le urine contenevano metaboliti di testosterone. Il DNA fu volutamente alterato con metodi ridicoli e grotteschi (lo hanno dimostrato i Ris e la WADA ha avuto coraggio di dire che i Ris non sono affidabili) per estromettere Alex dalle Olimpiadi e tagliargli le gambe per sempre”.
Risultato? L’8 luglio 2016 la IAAF sospende Schwazer con effetto immediato in via cautelare ma gli lasciano un piccolo spiraglio perché il marciatore azzurro respinge tutte le accuse, presenta ricorso al TAS e parte comunque per il Brasile. L’8 agosto 2016, in sede olimpica, viene discusso il ricorso, che viene respinto due giorni dopo e l’altoatesino viene squalificato per 8 anni, cioè fino al 2024. Atleta annientato: nel 2024 avrà 40 anni.
Alex non molla e si rivolge alla Giustizia civile pagando di tasca propria le spese legali, visto che quella sportiva non lo vuole ascoltare. Il 3 dicembre 2020 la procura di Bolzano chiede l’archiviazione del procedimento penale. Il 18 febbraio di quest’anno il Gip del Tribunale di Bolzano dispone l’archiviazione del procedimento penale per “non aver commesso il fatto”, ritenendo “accertato con alto grado di credibilità razionale” che i campioni di urina “siano stati alterati allo scopo di farli risultare positivi e, dunque, di ottenere la squalifica e il discredito dell’atleta come pure del suo allenatore, Sandro Donati”.
Giustizia fatta? No. “La WADA lo scorso aprile – ha affermato Donati – ha avuto il coraggio di dire che avrebbe querelato il giudice di Bolzano perché nella sentenza aveva espresso motivazioni farneticanti”. Per non parlare del fatto che FIDAL, Coni, Governo italiano, IAAF, WADA e tribunali sportivi non hanno mosso un dito per ammettere i propri errori, per chiedere scusa e ridare dignità all’uomo, prima che atleta, che avevano distrutto.
E Donati? Che cosa c’entra Donati con Schwazer? C’entra eccome e infatti il professore ha anche confessato che l’astio verso Schwazer è stato un modo per distruggere lui, per distruggere e infangare la sua immagine di persona integerrima che aveva lottato da sempre per contrastare la presenza del doping nello sport.
Donati il falso millantatore, come è stato più volte definito da numerosi organi sportivi, aveva scoperchiato un vaso di Pandora che doveva rimanere chiuso: il famoso “archivio della vergogna” della IAAF, di cui secondo Donati era a conoscenza anche l’agenzia mondiale dell’antidoping, la WADA.
“Avevo scoperto un database della IAAF che conteneva i passaporti biologici di migliaia di atleti con valori ematici anomali risalenti al primo decennio del 2000 – precisa Donati -. Erano i dati di atleti che si dopavano sistematicamente su richiesta delle rispettive federazioni nazionali, erano positivi ai controlli antidoping ed erano da squalificare come Schwazer la prima volta. Nessuno ha fatto niente, anzi è stato tutto insabbiato con ricatti ed estorsioni di matrice mafiosa. Non ti denuncio, ti proteggo ma paghi: questo era il modus operandi. Questi atleti perciò non parlavano e, se lo facevano, venivano denunciati come è successo ad un’atleta russa che, nel 2012, si è autodenunciata a WADA, IAAF e CIO, che hanno risposto denunciandola alle autorità russe”.
“I signori del doping sono loro – ha concluso Donati -, loro che distruggono gli atleti per puro tornaconto economico, loro che rappresentano lo sport e fanno campagne contro il doping sono quelli che, invece, insabbiano e ricattano, loro che usano il loro roboante potere anche sulla giustizia ordinaria, sui ministeri della salute, sui governi perché gli Stati hanno sempre delegato a gestire lo sport enti ed istituzioni che approfittano della loro autonomia per fare il bello e cattivo tempo. Loro che usano mezzucci spesso mediocri, grotteschi, ridicoli per distruggere chi come me e Alex vuole far emergere la verità e vuole uno sport senza lo schifo di un doping sempre più invasivo e devastante”.
“Cosa dobbiamo insegnare ai ragazzi nelle scuole e ai giovani atleti?” ha chiesto un ascoltatore a fine serata, al quale Donati ha risposto: “Che il doping promette tanto ma ci fa solo del male e che la libertà non si baratta mai”.
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