Raccontare di anno in anno i tragici fatti dello sterminio ebraico con un post vuoto di sentimenti o con uno spot pubblicitario per qualche giorno non è celebrare la Giornata della memoria, celebrare la dignità strappata a sei milioni di ebrei, e non solo, è ascoltare i silenzi di coloro che non hanno mai detto una parola su quei tragici fatti perché nessuna lingua del mondo possiede i vocaboli giusti per raccontarli.
“Dispiace dire che nessuno ricordasse la mia triste esperienza fatta in lager, quasi fosse stata “una passeggiata”: disse un giorno fuori dai denti Gino Andreola (nella foto), farrese, nato il 17 agosto 1924 e mancato il 3 novembre 2016, che era stato un internato militare italiano in un campo di concentramento tedesco perché disse no al Terzo Reich e alla Repubblica di Salò.
“Il 9 settembre sono fatto prigioniero a Tortona alla caserma Passalacqua e messo dai tedeschi su un treno dove in un vagone eravamo 40-45 persone, tutti militari – scriveva Andreola -. Ho visto come uno, chiamato indietro dalla mamma, è stato ucciso. A Padova due hanno tentato di scappare, sono stati freddati. A Tarvisio son passato il 15 settembre 1943 e sono tornato il 27 settembre 1945”.
“Ci hanno fatto lavorare nei pressi di Brandeburgo dai primi di ottobre 1943 fino al maggio 1945, lavoravo 12 ore al giorno, tutta la settimana, di giorno e una di notte – prosegue -. C’era chi lavorava in fabbrica, chi in miniera o in galleria, ritornavo dal lavoro stanco e sfinito e mi sdraiavo sul pagliericcio in compagnia di cimici e pidocchi. Per noi è andata bene ma tanti malati “sparivano”: li portavano via e a pochi chilometri c’erano i forni crematori, forse per loro quella era la fine, in quei forni“.
“La “sbobba” arrivava alle 5 ed era composta da 50 grammi di margarina e un cucchiaio di zucchero. Io nello zaino avevo ancora il vestito da borghese: l’ho venduto per tre chili di pane con addosso sempre la divisa militare – continuano quei duri ricordi di vita -. La fame fa fare brutti scherzi… ricordo che sono andato tra gli scarti della cucina tedesca tra la neve per mangiare qualcosa e sono stato sorpreso da una guardia tedesca che mi ha bastonato. Un altro che era in branda non lontano da me, trovato dalla guardia tedesca, non l’ho più visto tornare”.
“In tutte queste vicende c’era chi piangeva, chi bestemmiava, io sono stato forte – affermava spesso Gino Andreola – la preghiera imparata dalla mamma in stalla mi ha sostenuto”.
“Quando sono tornato da Bolzano mi hanno ricoverato all’ospedale di Oderzo con visite di controllo a Venezia e a Padova – si concludono i ricordi di Gino Andreola -. Il cappellano militare e un’infermiera a Oderzo mi hanno tranquillizzato dicendomi che tra quelli venuti dalla Germania ero uno dei “presi meglio”: pesavo 39 kg“.
(Fonte: Luca Nardi © Qdpnews.it).
(Foto: Comune di Farra di Soligo).
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