“Non è grossa, non è pesante la valigia dell’emigrante. C’è un po’ di terra del mio villaggio per non restar solo in viaggio. Un vestito, un pane, un frutto e questo è tutto. Ma il cuore no, non l’ho portato: nella valigia non c’è entrato”.
“Troppa pena aveva a partire, oltre il mare non vuole venire. Lui resta, fedele come un cane, nella terra che non mi dà pane: un piccolo campo, proprio lassù… Ma il treno corre: non si vede più”.
La celebre poesia “Il treno dell’emigrante” di Gianni Rodari sintetizza alla perfezione la sofferenza dei moltissimi veneti, ben 1 milione e 700 mila soltanto tra il 1880 e 1920, che prepararono la tristemente famosa valigia di cartone in direzione della Merica, senza nemmeno sapere dove fosse e con l’unica convinzione che peggio di così non poteva andare.
Moltissimi altri fecero fagotto nell’immediato secondo dopoguerra, nessuna provincia veneta fu esclusa. Ecco perché l’associazione emigranti nel mondo è una delle più radicate del nostro Paese e infatti oggi, domenica 23 maggio, Col San Martino, seppur in forma ridotta, non ha voluto mancare ai festeggiamenti per i 65 anni del gruppo emigranti frazionale.
La cerimonia, in modo quasi intimo, è stata accolta con piacere dai vari gruppi della zona ed anche da diverse associazioni comunali, che si sono ritrovati al monumento in piazza Emigrante a Col San Martino.
In precedenza il parroco, don Carlo Maccari, e Luigi Moschetta, padre missionario di Soligo, hanno celebrato la santa messa; presente anche il sindaco Mattia Perencin.
Associazioni come quella degli emigranti rappresentano la testimonianza vivente che la storia italiana e veneta è anche questa, una storia di continue migrazioni, di dolore, sofferenze e scelte di vita dalle quali, spesso, non fu più possibile tornare indietro.
(Foto: Mattia Perencin).
#Qdpnews.it