“Vite che non ho” è il nuovo singolo di Enrico Nadai (nella foto), giovane cantante 24enne di Soligo che in questa emergenza Covid ha trovato nella musica un rifugio privilegiato per distogliere l’attenzione dal preoccupante scenario sanitario ed economico provocato dal Covid-19.
Nadai ha iniziato a cantare nel periodo della scuola elementare, quando ha partecipato a un concorso canoro a Pieve di Soligo.
Successivamente, il giovane cantante di Soligo ha lasciato per un po’ di tempo il canto, investendo le sue energie in altre passioni.
Verso i 14 anni Nadai ha iniziato a essere conosciuto per le sue abilità canore anche grazie alla partecipazione ad alcune trasmissioni televisive.
“Ho dovuto combattere con i miei colleghi di Rotbaum Records per stabilire il titolo della mia canzone, “Vite che non ho”, perché quella frase non è contenuta all’interno del testo – spiega Enrico Nadai – Il titolo mi richiama alla mente il romanzo di Emmanuel Carrère “Vite che non sono la mia”: per questo volevo che ci fosse questo riferimento letterario. Il romanzo e la canzone mettono in luce un problema che per me è centrale: la fragilità umana e l’impossibilità, quando si fanno i conti con il proprio passato, di modificare qualcosa”.
“Di vita ne abbiamo una soltanto ma tutte quelle che non abbiamo sono quelle che desideriamo – prosegue il cantante di Soligo – Questo brano rappresenta una ricerca interiore, catartica, una ricerca che viene fatta in musica e che è la vera sperimentazione che tento di fare. Per me questo singolo è un punto di inizio per qualcosa di diverso rispetto alla produzione precedente”.
Ad ispirare Nadai sono state canzoni come “La musica è stanca” di Battiato o Francesco Bianconi dei Baustelle quando parla di “un universo obbediente alla moda del lento” e “Il mestiere di vivere” di Cesare Pavese, un libro molto importante per il cantante di Soligo, quando dice che “soffrire non serve, si può bere un calice all’inferno se hai la luce di un risveglio che ti abita dentro”.
“Questa canzone per me è una sorta di “ricerca apotropaica” tramite la musica e le note – continua Nadai – La musica ha sempre aiutato le persone e lo sta facendo anche ora in questa pandemia. È stata d’aiuto all’uomo quando si cantavano le gesta degli antichi eroi della mitologia classica ma anche ora che non abbiamo più eroi o, meglio, ne abbiamo ma senza connotati precisi. Gli eroi celebrati dai media sono i medici, gli infermieri e gli operatori sanitari ma credo che una civiltà non possa reggersi solo sull’idea di dover preservare la propria salute, dimenticando le pratiche “rituali” che investono l’anima delle persone”.
“Non dobbiamo farci investire eccessivamente dalle paure per una pandemia come questa che si rivela difficile ma che sarà presto superata ed è superabile – conclude Enrico Nadai – Non dobbiamo sottomettere la nostra cultura, oltre alla cura della nostra anima, al “culto della salute”. Voglio rivolgere un pensiero anche agli artisti che in questo periodo stanno avendo delle difficoltà e che, come me, hanno visto annullare concerti ed eventi. Per chi lavora soltanto con l’arte è impossibile andare avanti in una condizione di questo tipo ma quello che fa più male è il silenzio di chi ci governa rispetto a questo tema”.
(Fonte: Andrea Berton © Qdpnews.it).
(Foto: Riccardo Brustolin).
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