Dopo che nei giorni scorsi Pier Paolo Urbani, per anni primario del reparto di psichiatria dell’Ulss, ha dichiarato ai microfoni di Qdpnews.it che “la tragedia avvenuta a Moriago era potenzialmente evitabile”, scaricando in modo non del tutto velato alcune responsabilità all’azienda sanitaria, arriva la risposta dello psichiatra Leonardo Meneghetti, da circa due anni a capo del reparto di psichiatria dell’Ulss 2 Marca Trevigiana.
“Mi fa piacere poter intervenire e, in qualche modo chiarire alcuni aspetti – sottolinea Meneghetti – che sono stati evidenziati nella precedente intervista (qui l’articolo). Quello che vorrei fare è non esprimere opinioni personali, altrimenti si cadrebbe nel rischio di una contrapposizione tra quelle che sono le mie idee e quelle del dottor Urbani. Ritengo di potere dire ciò che dirò in quanto suffragato e supportato da quanto viene espresso da una comunità scientifica accreditata”.
Dottor Meneghetti, nei giorni scorsi lo psichiatra Pier Paolo Urbani ha dichiarato che la tragedia di Moriago era “potenzialmente evitabile”. Qual è il suo punto di vista in merito?
La prima cosa che vorrei dire è che i processi non dovrebbero mai essere mediatici, ma che dovrebbero essere fatti in aula: questo vuol dire che nessuno psichiatra e nessuna équipe si sottrae alla responsabilità di capire quale sia il proprio ruolo in eventi così tragici. Questo dovrà avere un corso, che è già iniziato, perché sono già state chieste tutte le documentazioni cliniche e si tratterà di capire quali responsabilità eventualmente la psichiatria può avere rispetto alla possibilità che l’evento di Moriago fosse evitabile.
Io non sono d’accordo con quello che ha detto il collega, ma anche qui in qualche modo mi rivolgo a quanto viene sostenuto in ambiti ben più larghi, nel senso che pensare che ci sia una connessione lineare tra un evento violento come questo con il disturbo mentale non è scientificamente accettabile.
Un comportamento violento, anche se messo in atto da una persona che ha un disturbo mentale, è multideterminato, cioè ha più cause. Questo lo dicono le linee guida psichiatriche forensi italiane. Quindi anche quando esiste un disturbo mentale il motivo per il quale una persona compie un atto di questo tipo ha diverse sfaccettature; non ci può in nessun modo essere una causalità lineare.
L’articolo 32 della Costituzione italiana prevede la possibilità di interrompere le cure autonomamente, imponendo trattamenti sanitari solo per legge. Può spiegare meglio queste dinamiche e perché Fabrizio Biscaro, reo confesso del femminicidio, ha interrotto le cure?
Questo articolo sancisce un principio assolutamente fondamentale, ribadito anche dall’Organizzazione mondiale della sanità, e cioè che le cure in psichiatria dovrebbero essere rivolte ai diritti umani e civili delle persone. Questo significa che le cure dovrebbero favorire sempre l’autodeterminazione del paziente, perché questo è il fine di una cura in psichiatria. Autodeterminazione significa fare in modo che la persona che ha anche un disturbo grave, psichico, possa comunque avere uno spazio di libertà per scegliere, per affrontare quelle che possono essere le proprie risorse, i propri desideri e i propri bisogni.
L’elemento dell’autodeterminazione è fondamentale e in questa autodeterminazione entra anche la scelta, ribadita anche dalla legge del 2019, in cui non ci può essere nessuna cura, a eccezione dei motivi per il quale si può ricorrere a un TSO, che non sia contestualmente condivisa con un paziente.
Un paziente può interrompere le cure. La psichiatria in questo caso valuta di volta in volta che cosa può fare. Il dottor Urbani dice che ai suoi tempi si andava a casa dei pazienti, noi visite domiciliari ne facciamo quotidianamente. Gli operatori vanno a casa dei pazienti ma non si può pensare che le cose si risolvano né coi TSO né tantomeno perché sarebbe semplicistico pensare che siano sufficienti i farmaci, così come lui accenna ai long acting. Ha perfettamente ragione nel dire che la patologia mentale deve essere curata con i farmaci, ma sappiamo che questi non sono l’unico elemento dirimente all’interno di una cura di una persona con un disturbo mentale.
Qual è il ruolo dell’azienda sanitaria nel campo della cura delle malattie psichiatriche e nella prevenzione di episodi come quello di Moriago?
Il ruolo è quello di proporre la cosiddetta psichiatria di comunità. La salute mentale non la fa solamente l’azienda sanitaria o il dipartimento di salute mentale, ma va fatta assieme agli utenti, ai famigliari, agli enti locali e a tutta la comunità. L’obiettivo principale del dipartimento di salute mentale è quello della cura e della prevenzione, che è un percorso estremamente complesso, e che noi, in qualche modo, proponiamo assieme a un’altra serie di attori indispensabili in questo campo.
Come è strutturata la psichiatria trevigiana? È vero, come sostiene qualcuno, che ci sono stati dei tagli?
Non è che ci siano stati dei tagli all’interno dell’Ulss. Se ci si riferisce alla mancanza di medici, questa non è certamente una conseguenza di scelte della direzione strategica, la quale si muove da sempre in modo esattamente opposto: cercando in tutti i modi di proporre concorsi e contratti libero professionali. Il problema è che gli psichiatri sono sempre meno rispetto a molti anni fa e allora quello che noi stiamo facendo è cercare di valorizzare tutte le figure professionali esistenti fondamentali che sono gli infermieri, gli educatori, gli assistenti sociali e gli psicologi.
Uno psichiatra cosa prova quando apprende di fatti come l’omicidio di Elisa Campeol?
Io ho fatto una riunione con l’équipe di Pieve di Soligo lunedì; non è una polemica, mi sarebbe piaciuto però che il dottor Urbani e chiunque altro avesse avuto la possibilità di partecipare a una riunione dove è stato espresso un dolore estremamente importante. C’è stato spazio per la commozione, per le domande.
Ho trovato un gruppo di lavoro fortemente scosso, e quando noi ci troviamo di fronte a un suicidio di un paziente o a fatti così tragici entra in crisi necessariamente la nostra identità professionale: non possiamo non chiederci cosa abbiamo fatto e cosa non abbiamo fatto.
In questo caso, però, il paziente aveva interrotto le cure in accordo con i famigliari, e da quel momento il servizio non aveva avuto più nessuna segnalazione. Perché quando il paziente interrompe le cure è totalmente evidente che alla prima segnalazione un servizio non rimane con le mani in tasca ma si propone attivamente.
Quella sorta di stato di polizia a cui accennava il professor Urbani nella sua intervista io non lo voglio, non possiamo pensare di fare una psichiatria a forza di trattamenti sanitari obbligatori o di long acting. Ribadisco che questi sono aspetti in cui anche noi incorriamo, ma la cura in psichiatria è estremamente più complessa.
Che ruolo hanno i farmaci nella cura di queste malattie?
I farmaci hanno un ruolo importante e fondamentale nel caso di malattie e disturbi gravi. Se però noi dobbiamo chiederci quale ruolo possono avere i farmaci rispetto alla prevenzione di un comportamento violento rispetto a terzi, avendo detto prima che un comportamento violento è plurideterminato non si può chiedere ai farmaci di poter essere in grado di prevenire questo. I farmaci curano il disturbo psichico, ma non possono curare tutti quei fattori che sono implicati in un comportamento di questo tipo.
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