Latte di cagna e olio di scorpioni: Luigi Alpago-Novello contro gli stregoni

Quando Luigi Alpago-Novello assume l’incarico di medico condotto a Cison di Valmarino ha ventidue anni e non immagina ciò che lo aspetta. Siamo nel 1876 e per il giovane bellunese questo lembo della Marca Trevigiana non è del tutto sconosciuto visto che un ramo della sua famiglia proviene da Valmareno, frazione di Follina.

Animato da buoni propositi, fermamente convinto che la scienza, specie quella medica, sia la chiave per superare situazioni di arretratezza e degrado oramai inammissibili, Luigi Alpago-Novello trascorre sette anni e mezzo a Cison fra successi e frustrazioni, in perenne contrasto con un nemico subdolo e irriducibile: il pregiudizio dei contadini nei confronti della medicina, quella vera. Quando visita percepisce un’atmosfera carica di sospetto e di cinismo che, in più occasioni, lo farà sentire isolato alla stregua di una “sentinella perduta”.

Terminata l’esperienza cisonese, stabilitosi a Onigo, in ricordo degli anni cui ebbe il “faticoso compito di portare la croce di medico nel Calvario di una condotta rurale”, Luigi dedica agli amici del borgo prealpino un opuscolo dal titolo “Dei pregiudizi popolari medici nelle nostre condotte”.

La pubblicazione, ristampata e allegata al delizioso quaderno “Fra maghi e tiraossa” curato da Cristina Munno per il Circolo culturale “Al Mazarol”, è un’interessante fonte storico-antropologica oltre che un veemente atto di accusa contro una società colpevolmente arretrata. Il giovane medico bellunese se la prende innanzitutto con i colleghi medici che, a suo dire, hanno contribuito ad alimentare fra i contadini la diffidenza e lo scetticismo nei confronti della cultura scientifica.

Altrettanto acuminati sono gli strali che Alpago-Novello rivolge al conte-sindaco Annibale Brandolini, tratteggiato come una sorta di dispotico feudatario affatto lungimirante. Non sfuggono i preti, troppo inclini a dispensare benedizioni agli ammalati in cambio di donativi; quindi i gendarmi e il pretore, pronti a sanzionare l’abbattimento di una lepre fuori stagione, ma non altrettanto severi nei confronti di chi esercita abusivamente la professione medica.

Egualmente colpevoli sono i villici, caparbiamente persuasi che il salasso e la purga siano i rimedi universali contro ogni affezione, pellagra compresa. La categoria contro la quale il giovane medico condotto si scaglia con maggiore impeto sono tuttavia i maghi, i ciarlatani e gli impostori che lucrano indisturbati sull’ignoranza altrui riscuotendo, non di rado, più credito dei medici veri. A riprova delle proprie affermazioni Luigi Alpago-Novello riferisce diversi aneddoti narrati con pungente ironia e che pare impossibile siano occorsi nel civilissimo Veneto poco più di un secolo fa.

Vi sono alcuni, scrive Novello, che dinanzi a una banale eruzione cutanea si convincono di essere affetti dalla febbre miliare (la stessa che si rivelò fatale per Mozart). Il rimedio popolare consiste nel tapparsi in casa, avvolgersi in stracci di lana e giacere nel letto per giorni, coperti da un sudore malsano che finisce con l’aggravare qualsivoglia irritazione della pelle.

A proposito dei numerosi ciarlatani Alpago-Novello cita il Mago di Guìa, un losco individuo che accorso al capezzale di una donna sofferente di un problema alla tibia, per prima cosa cava dalle sudicie tasche un crocifisso e un libraccio unto e bisunto. Biascicate alcune invocazioni e tracciati misteriosi segni nell’aria, il “mago” posiziona sette lumache sul piede della poveretta che, ovviamente, rimane “mezzo storpia”.

Altrettanto “efficace” è l’arte medica padroneggiata da un prete di Vidor, cieco e per questo soprannominato l’orbo da Cian. Attivo a Cornuda e sul Montello, il sacerdote – medico agisce in cambio di doni in natura; a un contadino che lamenta la guarigione di un solo occhio, lo scaltro religioso risponde: “se mi hai regalato soltanto un gallo, come pretendevi che ti guarissi entrambi gli occhi?”.

A Conegliano un “farmacista senza farmacia” recide l’arteria femorale a un poveretto salvato in extremis da un vero dottore. A Cison, un maestro affetto da dolori al bacino, viene trattato con un impasto di senape e fichi a cui il ciarlatano di turno aggiunge una palla riscaldata che provoca al paziente ustioni di terzo grado. A Tovena una levatrice abusiva esegue su una partoriente le stesse manovre che si riservano alle vacche gravide mettendo in grave pericolo la madre e il nascituro. Denunziata da Alpago-Novello la donna se la cava perché se esiste il divieto di praticare l’ostetricia senza diploma, il codice non prevede alcuna sanzione.

A proposito di rimedi palliativi, Alpago-Novello ne elenca una quantità inverosimile: dai rituali religiosi dispensati con la medesima disinvoltura a esseri umani, vacche e bachi da seta ai miracolosi amuleti: le cordelle di Sant’Augusta per il mal di testa, l’olio di San Silvestro per le dermatiti, le chiavi di San Valentino per l’epilessia e quelle di San Benigno contro il morso dei cani idrofobi. Grottesca eppure diffusa, è l’usanza di rotolarsi nudi, la notte di San Giovanni, nell’erba coperta di rugiada per debellare la scabbia.

La tenacia e la determinazione nella lotta al pregiudizio spingono il medico condotto a praticare almeno due dissezioni cadaveriche in pubblico. Nella prima l’obiettivo è dimostrare come il decesso di un’anziana cisonese sia da addebitarsi a voluminose cisti ovariche anziché a un’infestazione di vermi; nella seconda Alpago-Novello deve difendersi dall’accusa di aver somministrato la letale canfora a un uomo deceduto per un’indigestione di fagioli.

La tragicomica descrizione sulla medicina popolare prosegue con la citazione di altri falsi medicamenti degni di una fiaba: collanine di corallo e farina di lombrichi contro i vermi dei bambini; pidocchi da inghiottire per combattere i catarri, sangue mestruale, urina e sputi contro le verruche. Del mal di denti ci si può liberare fumando il gambo di una zucca, mentre per i dolori generici funzionano pelli di serpente e cerume. Il mal d’orecchie pare scompaia facendo gocciolare nel condotto uditivo e direttamente dal capezzolo un po’ di latte materno.

Introdurre un braccio nelle viscere di un animale appena macellato è un toccasana per le articolazioni, mentre l’olio di scorpione garantisce la rapida cicatrizzazione delle ferite. Alle ragazze che aspirano ad avere un seno prosperoso è vivamente consigliata l’applicazione di pezzetti di formaggio, latte di fichi acerbi e … lievito! I morsi di vipera vanno trattati ponendo un pollo squartato vivo sulla parte interessata, la diarrea cessa assumendo brodo di gamberi o appendendosi al collo un sacchettino con una lucertola viva. Infine il latte di cagna è un potentissimo tossifugo.

Alpago-Novello non abbandona la vena ironica neanche dinanzi all’ennesima figura equivoca, quella di una “botanica”: una vecchiarella sparuta e cadente che dispensa sciroppi e decotti d’erbe ai creduloni e a chi, per risparmiare, preferisce i suoi intrugli a buon mercato piuttosto che il costoso chinino.

Conclusa l’esperienza di medico condotto a Cison di Valmarino, Luigi Alpago-Novello si avvia verso una luminosa carriera di medico e letterato. Primario a soli trentadue anni, fondatore dell’Archivio storico di Belluno, autore di importanti studi psichiatrici, in prima linea nella lotta alla pellagra, il medico bellunese sarà anche commissario prefettizio per la sinistra Piave e sindaco di Trichiana. A Cison, nel tentativo di contribuire allo sviluppo economico e sociale di quel territorio, promuove la creazione della Latteria Sociale.

Convinto che senza igiene non possa esserci alcuna forma di progresso, propone che le autorità si prendano a cuore il benessere dei più umili anche attraverso la creazione di apposite “Scuole d’igiene pei contadini” nelle quali i medici condotti sarebbero protagonisti preziosi. Entusiasta e dinamico, Luigi Alpago-Novello non nasconde agli amici il proprio amaro scettiscismo: “Non voglio illudermi che ogni pregiudizio potrà essere sradicato finché anche nelle così dette alte sfere si portano i corni di corallo contro la jettatura, e non si pranza in tredici”.

Una profezia azzeccata quella del medico bellunese, suffragata dal continuo proliferare di personaggi ambigui che, vestendo i panni ora del veggente e ora del taumaturgo, non esitano a depredare con rapace noncuranza coloro che, piegati dalle avversità della vita, si mostrano più fragili e indifesi.

(Autore: Marcello Marzani)
(Foto: famiglia Alpago Novello)
(Articolo di proprietà di Dplay Srl)
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