Godega di Sant’Urbano, a Pianzano il primo processo alla vecia “un fià farsa e un fià serio”

Dopo il tentativo fallito lo scorso anno a causa del maltempo, sull’esempio di piazza Dante a Treviso e a Roncade, si terrà sabato 30 marzo, dalle 19.30, al “Pra’ de Sant’Urban”, il primo “processo alla Vecia”  di Pianzano. Il processo “un fià farsa e un fià serio”,  sul testo del compositore teatrale, scrittore e poeta del paese (vincitore anche di premi nazionali) Gino Zanette, ripercorrerà, tra battute salaci, spassose e qualche volta sguaiate, nel classico dialetto locale, tutto quello di buono che, del suo passato, il paese ha perduto o dimenticato e che ora, nonostante rare eccezioni, fatica a ritrovare.

“Trattandosi della prima edizione, i capi d’accusa saranno pluriennali – anticipa Flavio Stefan dell’associazione “Noi X Pianzano”, organizzatrice dell’appuntamento insieme al gruppo alpini e alla Pro Loco – Non sarà un processo alla politica locale, bensì alla decadenza commerciale della frazione: oggi molti negozi hanno chiuso ma un tempo Pianzano, all’interno del rombo compreso tra Oderzo, Conegliano, Sacile e Vittorio Veneto, era uno tra i paesi più vivaci”.

A completare l’iniziativa – seppur sconosciuta ai più – secolare, il simbolico “Panevin”, che sarà comunque modesto nel rispetto dell’ambiente. “Brusàr la vecia”  all’inizio dell’anno nuovo ha rappresentato fin dall’antichità un culto per dimenticare le miserie della stagione passata, la fame, le disgrazie, le malattie, le ingiustizie subite e insieme l’augurio di un futuro promettente per la campagna e per la vita. Con la diffusione del cristianesimo la tradizione della festa della “vecia” si è confusa con quella della “Mezza Quaresima”, quando la Chiesa, per smorzare i rigori e l’austerità del periodo penitenziale, si è concessa, nella sua liturgia, una domenica di letizia.

Ed è stato forse proprio nel Medioevo che anche il popolo si è adeguato e ha pensato di risuscitare un po’ di Carnevale nel bel mezzo della Quaresima e l’antichissimo fantoccio pagano, perso il suo significato vegetativo, è diventato la vittima dello sfogo popolare anche per il digiuno e l’astinenza, per la primavera che ancora non arrivava, per il granaio e il fienile vuoto, per l’orto e il pollaio che non davano nulla, per il padrone che non si accontentava mai. Questa tradizione è rimasta poi sempre viva nei secoli, soprattutto nelle campagne e in particolare nel Veneto e in provincia di Treviso.

(Fonte: Mattia Vettoretti © Qdpnews.it).
(Foto: archivio Qdpnews.it).
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