Ha da pochi giorni fatto la professione solenne dei voti religiosi ed è entrato a pieno titolo nella grande famiglia dei Francescani: è la scelta di vita consacrata di fra Daniele Zanardo, classe 1992, originario di Ramera di Mareno di Piave, dove è cresciuto e dove oggi vive la sua famiglia.
La cerimonia è avvenuta lo scorso 8 ottobre nella chiesa di San Francesco a Mantova, e da circa un mese fra Zanardo si trova al convento di Monza, dove si occupa di attività e proposte per i giovani.
“La mia vita, per quel che posso dire, è tutta benedizione, oggi come allora – esordisce fra Daniele -: è difficile parlare di sé e fare il punto della propria storia! Il rischio è quello di selezionare ad hoc incontri ed esperienze, confezionarli assieme e presentare la propria vita come se avesse un ‘prima’ e un ‘dopo’, come se la chiamata fosse solo un pulsante da schiacciare al momento giusto, come se Dio si potesse imbrigliare nell’immagine (per me riduttiva e dunque falsa) di un tecnico che fa funzionare bene qualcosa che prima funzionava male. Ma la vita di un uomo penso sia molto di più di un elettrodomestico!”.
“Per quel che mi riguarda – prosegue – il mio ‘manuale d’istruzioni’, se così si può dire, ha radici in una vita familiare e parrocchiale accogliente e vivace; si è poi volentieri lasciato arricchire attraverso tante passioni durante l’adolescenza, come il disegno, la musica, lo studio, e si è in un certo momento concentrato su un desiderio di ricerca profonda che dalle scuole superiori in poi non ha più potuto cancellare. Forse è stata una costante domanda di radicalità e di autenticità a chiedermi se valesse veramente la pena prendere sul serio il Vangelo. È stato fondamentale per me incontrare persone che effettivamente lo facevano, in particolare durante esperienze di campi scuola, di pellegrinaggio, di preghiera condivisa, di servizio gratuito al prossimo. Queste persone mi hanno mostrato che ciò non solo è possibile, ma che è anche desiderabile e avvincente. Soprattutto mi hanno testimoniato con i fatti che davvero si può vivere così anche nella quotidianità, e non solo in pochi momenti straordinari. Non parlo solo dei frati francescani che ho avuto la fortuna di conoscere, ma mi riferisco anche a tanti amici, educatori, e persino a sconosciuti incrociati anche solo per una sera e che ti cambiano la vita”.
Ancora molto giovane, fra Daniele viene a contatto con l’ordine fondato nel 1209 dal santo di Assisi: “Di San Francesco mi ha affascinato soprattutto l’incontro con i sui Scritti, la cui lettura mi metteva in cuore il desiderio di provare a fare un po’ come lui, per quanto mi fosse possibile a 22 anni. Se qualcuno si fa vicino ai malati, agli esclusi, ai disprezzati del suo tempo e poi ti dice: ‘allontanandomi da loro, ciò che mi sembrava amaro mi fu cambiato in dolcezza di animo e di corpo’, beh non so a voi ma a me viene da provare a vedere se è vero o no! San Francesco non attribuiva al proprio io, al proprio ombelico, quelli che sapientemente riconosceva come dei doni ricevuti dall’alto e attraverso l’altro: il dono di fare penitenza, cioè di guardare il mondo e la gente con occhi nuovi; il dono di avere una grande fede nella Chiesa e nei sacerdoti, nonostante anche allora fosse un periodo di severe critiche e di crisi; infine, il dono di altri fratelli con cui vivere secondo la forma del Vangelo”.
Perché allora la scelta di una vita comunitaria? “Il vivere assieme rimane per me ancora un gran mistero – afferma ancora il giovane frate ramerese – soprattutto nella misura in cui mi accorgo che senza uno sguardo attento e misericordioso verso i più deboli e verso le proprie fragilità non si permette un vero riconoscimento del male. Mi sembra che uno stile di condivisione fraterna dei lavori e dei servizi porti con sé quella sana libertà di lasciare a qualcun altro anche le cose di cui ti sei finora occupato, senza che ti identifichi in un ruolo che sia ‘tuo’ e basta, consentendoti di viverlo con responsabilità e dedizione perché sai che non ti appartiene ma che ti è affidato perché tu dopo possa restituirlo”.
Alla richiesta di un parere sulle nuove generazioni di questo tempo, fra Zanardo risponde così: “Anch’io mi considero (ancora!) giovane, e quindi mi sento sulla stessa barca di chi cerca un indirizzo e un senso per la propria vita, avendo davanti a sé un certo ventaglio di possibilità dato dall’età. Penso che bene o male ci sia un interesse da parte di tutti sulla ricerca di senso, ma credo anche che questo nobile sforzo possa essere facilmente falsato in almeno due modi, solo a prima vista antitetici: da una parte, c’è il rischio di pensare al senso come a un qualcosa che serva a se stessi e basta, un qualcosa di ‘interiore’ e privato; dall’altra, c’è la possibilità, neanche così remota, di assumere su di sé un senso già ‘preconfezionato’ dall’esterno e pronto all’uso, con tutte le sue nuove regole e con già un preciso codice di comportamento, al prezzo (carissimo) della propria libertà. Mi pare che in entrambi i casi, da quello che vedo, la conseguenza diffusa sia spesso una sorta di disperazione ‘a bassa frequenza’, che fa da sottofondo ad una vita perlopiù insipida, dove anche i momenti più belli sono ridotti a banalità e ripetizione. Che tristezza! Niente a che vedere con la ‘via stretta’ del Vangelo, con il ‘fuoco’ che Gesù dice di essere venuto a portare sulla terra con la sua esperienza di vita, e con Francesco d’Assisi. Auguro ai giovani di ribellarsi alla superficialità e di andare verso ciò che conta, di mirare in alto e di mordere bene con i piedi la terra quando c’è da camminare. Magari potranno scoprire qualcosa per cui valga davvero la pena vivere”.
(Foto: per concessione di Fra Daniele Zanardo).
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