Anche quest’anno è stata stilata la classifica dei cosiddetti Comuni Ricicloni e anche quest’anno il nostro territorio si dimostra sensibile e ben organizzato nella differenziazione dei rifiuti, mantenendo una produzione di secco sotto i 75 kg annui per abitante in ben 168 comuni su 563.
C’è da festeggiare? Secondo Contarina sì, e ha ragione perché pensa al proprio compito. Ma per quanto riguarda noi privati cittadini?
La verità è che la raccolta differenziata è un tassello troppo piccolo nella lotta contro il riscaldamento globale e la crisi climatica in corso. Di certo non significa che riciclare non sia importante, ma bisogna cominciare a renderci conto che è tutt’altro che abbastanza.
Inoltre, noi cittadini trevigiani possiamo veramente dire di riciclare perché mossi da interessi ambientalisti? O lo facciamo perché preoccupati dal conto che Contarina (o SAVNO) ci presenterebbe su una produzione maggiore di secco? In altre parole, quanto libero arbitrio c’è nella nostra produzione di secco annua? Se invece i cittadini sono davvero sensibili alla crisi climatica, è arrivata l’ora di chiedere loro uno sforzo diverso, l’unico realmente efficace per contrastare il declino ambientale e tutte le conseguenze sociali che si porta dietro: non consumare – o almeno consumare meno, molto meno.
L’economista e filosofo francese Serge Latouche sottolinea la ormai evidente fragilità di un’economia basata sulla “crescita per la crescita”, su un consumo ormai ben “lontano dal soddisfare bisogni reali”.
Consumiamo e basta. “La pubblicità crea il desiderio di consumare, il credito ne fornisce i mezzi, l’obsolescenza programmata ne rinnova le necessità”, spiega Latouche.
La pubblicità è la seconda spesa più alta a livello globale dopo gli armamenti ed è programmata per farci credere che quello che abbiamo non è abbastanza; consumiamo con la convinzione che sia la chiave per la felicità ma ne veniamo puntualmente smentiti, salvo un’effimera sensazione di contentezza che dura giusto il tempo di mettere via il portafoglio.
L’obsolescenza programmata invece è una sorta di “difetto di fabbrica” voluto per cui ciò che acquistiamo è fatto apposta per non durare e per essere sostituito dopo breve tempo.
Per fare un esempio, in Europa quasi il 40% del cibo prodotto finisce in discarica perché si supera la data di scadenza. La stessa logica però si applica a qualsiasi bene di consumo – elettronica, automobili, abbigliamento, persino prodotti culturali: tutto ciò testimonia la nostra “tossicodipendenza dai prodotti”, allegramente inconsapevoli che – per usare le parole del filosofo Hans Jonas – “la ricerca infinita porta al fallimento infinito”.
La risposta dunque è consumare meno e farlo in modo intelligente: aggiustando i nostri beni invece di sostituirli, vendendoli o reimpiegandoli, acquistandoli di seconda mano e solo se si intendono consumare davvero (pensiamo a quanto cibo noi stessi, in casa nostra, compriamo e buttiamo) e in quel caso scegliendo prodotti duraturi con materiali più sostenibili.
La raccolta differenziata infatti non elimina i rifiuti, li “raccoglie” appunto, e questi accumulandosi inquinano la terra, l’aria e i mari. Per questo differenziare non deve essere visto come la meta ma come il primo gradino, senza lasciarsi spaventare dalla fatica che ci troviamo di fronte: non si tratta di correre verso la cima ma di fare un passo alla volta.
“Nella scelta della frugalità e dell’autolimitazione non c’è né masochismo né spirito sacrificale,” scrive Latouche “bensì la volontà di preservare un minimo di autonomia, rifiutando la formattazione consumistica e il diktat congiunto della tecnoscienza e del mercato”.
Perché se proprio non ci importa nulla dell’ambiente, nonostante il benessere ambientale abbia innumerevoli risvolti sociali, dovremmo almeno preoccuparci di noi stessi e del nostro libero arbitrio, giornalmente schiacciato da una perfettamente collaudata e straordinariamente funzionante macchina globale del mercato: consumare meno è un esercizio di libertà.
Per approfondire:
link e link2.
(Fonte e foto: la Chiave di Sophia).
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