Crespignaga perde Martino Pandolfo, colpito a 44 anni da un malore: “Crederghe” il suo motto, impresso nel ricordo di famiglia, amici e comunità

“Crederghe, bisogna crederghe”. È quello che diceva sempre Martino Pandolfo a suo figlio Michael e a suo nipote Enrico quando assieme giocavano a rugby. E in àmbiti diversi lo diceva anche alle sue due figlie, Asia e Vanessa, di 21 e 15 anni e a sua moglie Laetitia. Martino è scomparso a 44 anni per un malore che non gli ha lasciato scampo, lasciando un vuoto nella comunità di Crespignaga e non solo, dove verrà ricordato per il suo animo gentile e per la sua simpatia spontanea e rispettosa.

Al funerale, questo pomeriggio alle 15, c’era mezzo paese a dargli l’addio. Martino faceva il muratore e aveva due passioni su tutte: il rugby e le Alfa Romeo. Amava quel marchio di automobili da quando aveva avuto la sua prima 75, da giovane, e la passione per lo sport l’aveva trasmessa facilmente anche a suo figlio e a suo nipote, assieme a tutti i valori che lo contraddistinguevano. “Fin da piccolo giocavamo assieme – ricorda suo figlio Michael – poi ha dovuto smettere per un problema alla caviglia. Tifavamo Italia e Benetton, guardavamo le partite assieme e lui c’era sempre”.

“Ha sempre vissuto qui a Crespignaga, tranne quando si è sposato: ci siamo spostati per due anni a Villa d’Asolo – spiega il figlio -. Nei primi anni, quando eravamo tutti molto piccoli, andava a lavorare lontano da casa per mantenerci tutti. Poi ci raccontava sempre dell’esperienza che aveva avuto durante la naja, che aveva fatto sotto gli Alpini: la portava nel cuore. Il nostro rapporto è sempre stato bellissimo, anche se entrambi eravamo estremamente orgogliosi. Da lui, sicuramente, ho preso l’orgoglio. Ci volevamo bene per davvero”. Accanto alla moglie Laetitia e ai figli, legatissimi al papà, al Gruppo Alpini e agli amici del rugby, è sempre stato presente anche il suo migliore amico Marcello, che conosceva Martino da una vita.

In paese e non solo, Martino era molto conosciuto: a detta di molti, si prestava spesso a fare favori al prossimo. L’esterno della chiesa di Crespignaga, in effetti, era gremito di persone ad accompagnarlo e non bastavano i parcheggi di tutta la frazione: nella celebrazione l’omelia di don Carlo Velludo ha lasciato poi spazio al ricordo di Enrico, il nipote, che ha affermato di essere stato legato allo zio come a un fratello.

“Eri un fenomeno quando calciavi, eri un fenomeno quando ci insegnavi i due passi indietro e i due laterali: ho sempre ricordato queste parole – ha detto Enrico – Così come mi ricorderò per sempre quando andavamo a pescare e tornavi bambino. Trasmettevi passione tanto da cambiare espressione del viso. Sei andato via senza un sussurro, con lo sguardo al cielo”.

(Foto: Qdpnews.it © riproduzione riservata – per gentile concessione della famiglia).
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