È capitato che, durante la Seconda guerra mondiale, i medici impiegati in battaglia dovessero far fronte alla carenza di morfina e di altri antidolorifici: i feriti venivano abbandonati al loro cospetto, supplicando per qualche sollievo, ma le scorte si esaurivano rapidamente.
Finita la morfina, i dottori iniziarono a riempire le siringhe d’acqua e, in qualche modo, i soldati iniziavano a percepire meno il dolore, come se soltanto il pensiero di assumere quei medicinali li guarisse dal dolore.
Questo effetto, definito placebo, è uno dei molteplici fattori che il dottor Nicola Faccin del Centro Medico Enne, fisioterapista e relatore della serata di dopodomani, giovedì 9, alle 20 nella sala riunioni del Municipio di Maser, presenterà per spiegare e definire ciò che la mente umana è in grado di alterare a volte positivamente altre volte negativamente di fronte sia a terapie basate sull’evidenza scientifica, sia nei confronti di esperienze pseudoscientifiche.
L’ha vissuto anche nella propria esperienza personale da fisioterapista il dottor Faccin: “Sentire i pazienti che raccontano di terapie quasi magiche dopo aver studiato tanti anni una disciplina così complessa come il corpo umano, tende ad allontanare radicalmente i medici dai pazienti condannando invece di spiegare perché avvengono certe reazioni.
Io ho pensato di approfondire il perché una terapia pseudoscientifica possa avere degli effetti benefici oggettivi. Inoltre, cercherò di spiegare come a volte, davanti a una terapia basata sull’evidenza scientifica, non si riesca a ottenere un beneficio”.
I motivi, secondo Faccin, si possono ritrovare negli effetti che la nostra mente riesce ad avere sul nostro corpo, arrivando al punto di modificare un esito terapeutico. L’esempio più celebre è l’effetto placebo, di cui abbiamo riportato un esempio all’inizio di questo articolo, ma in questo contesto gioca un ruolo fondamentale anche l’empatia del dottore e la sua capacità di comunicare con il paziente.


Il concetto d’empatia professionale si ricollega con l’interessante tema dello scorso giovedì: la rassegna ha portato a Maser il professor Ruggero Carli, esperto di Intelligenza Artificiale rapportata al mondo della medicina. Davanti a un pubblico numeroso, Carli ha parlato di come l’AI possa supportare, mai sostituire un medico; di come le AI siano comunque “creature artificiali”, create da uomini e, per questo, influenzate da potenziali errori a livello di progettazione.


Allo stato attuale capita che l’intelligenza artificiale venga generata con informazioni troppo semplificate, generalizzate, e che quindi sia logicamente impossibilitata a comprendere piccole grandi differenze nelle fasi successive alla diagnostica. Rimane comunque una risorsa importante, specie considerando la velocità di elaborazione dei dati: una sorta di consigliere per chi, alla fine, dovrà interpretare i risultati e consigliare al paziente come affrontarli.
Nonostante il potenziale a livello tecnologico oggi sia davvero notevole anche per apportare dei miglioramenti nelle più complesse terapie sperimentali, la medicina non rappresenterebbe – secondo i relatori – una scienza esatta come la matematica, al contrario di come si possa pensare: l’organismo umano è ancora troppo elaborato e complesso, fortemente influenzato da contesti variabili e da condizioni imprevedibili, per essere gestito da un essere privo di empatia.
In campo medico, cioè, l’AI può supportare il medico nelle sue diagnosi, ma il “polso delle situazioni umane” deve essere mantenuto da un medico con – si potrebbe dire – due occhi, due orecchie e, soprattutto, un cuore.


(Foto: Centro medico Enne).
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