“Io non dirò mai a mio figlio ‘vai a portar via un fiore davanti a una lapide di un partigiano’, anche se magari è una persona che ha vissuto rubando o uccidendo. Non oltraggerò mai la lapide di un morto. Perché non devono lasciarci ricordare questi morti, che non sono i nostri morti ma quelli di tutti? I morti della gente perbene che ha vestito una divisa, che ha fatto la sua guerra e che credeva in qualcosa, che fosse giusto o sbagliato passa in secondo ordine”.
Con queste parole l’ex senatore Antonio Serena ha risposto alle polemiche dell’Anpi sulla manifestazione con la quale questa mattina Continuità Ideale-Rsi Treviso, insieme all’Associazione nazionale famiglie dei caduti e dispersi della Repubblica sociale italiana e ad altre associazioni, ha voluto ricordare nel cimitero di Miane, davanti alla lapide inaugurata un anno fa, la strage dei soldati e civili fascisti uccisi dai partigiani nella notte tra il 7 e l’8 maggio 1945 nella grande Spinoncia, una cavità verticale di una trentina di metri che si trova a circa due chilometri a nord di Combai.
Nel discorso di Serena si è toccata con mano la delusione provata nei confronti di chi avrebbe strumentalizzato la commemorazione di oggi, chiedendo alle autorità competenti di accertare che la manifestazione avesse tutte le autorizzazioni necessarie.
In questi giorni, l’Anpi di Treviso aveva annunciato di riservarsi di procedere a norma di legge in presenza di nuove espressioni di apologia del fascismo (qui l’articolo).
Serena ha detto che, come era prevedibile, lo scorso anno si è parlato del saluto romano e non del motivo della presenza di centinaia di persone al cimitero di Miane.
“Occorrono dei permessi per ricordare dei morti? – prosegue Serena collegandosi alle polemiche sulle autorizzazioni per la manifestazione – Per portare dei fiori ai morti servono dei permessi speciali? Bisogna controllare se abbiamo delle mascherine o se facciamo il saluto romano? Anche un giornale locale ha scritto che Combai non è una foiba. Ma chi l’ha detto? Siamo andati avanti per settant’anni a dire che le foibe non sono esistite e a dimenticare, ad esempio, che a Combai sono state sotterrate, infossate ed infoibate almeno 50 persone, perché poi le hanno fatte a pezzi e le hanno bruciate”.
Serena, rimandando al mittente le accuse in cui si diceva che non si poteva parlare di foibe per questa zona, ha elencato tutte le foibe presenti nel territorio, sottolineando che l’elenco era contenuto nel verbale stilato il 24 aprile del 1951 dal pretore di Treviso.
“Noi siamo qui per ricordare caduti in divisa – prosegue -, pensate che erano ragazzini che non erano stati mandati in guerra perché disabili, perché non potevano fare la guerra. Erano rimasti qui di guardia ai macchinari e ai soldi del Battaglione, in particolare della Decima Mas. La gente qui sa quello che è successo nei minimi particolari, per quello non si presentano o vengono qui segretamente, come li ho visti io, a portare dei fiori perché si vergognano per quello che è successo nei loro paesi”.
“Il nostro compito è di perpetuare nella storia, per le prossime generazioni, e di raccontare quello che è successo senza le provocazioni della stampa o dell’Anpi – conclude – Oggi non esiste più credere in qualcosa perché ci portano a credere solo nel ‘dio denaro’, nel possesso e nell’avere. Noi siamo orgogliosi di continuare a credere in quegli ideali e siamo qui oggi proprio per ricordare il loro sacrificio. Lo volevamo fare lo scorso anno, lo siamo tornati a fare quest’anno e lo faremo ancora nei prossimi anni finché avremo un soffio di vita”.
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