“Il vaccino contro la mafia dobbiamo trovarlo dentro di noi”, il prefetto Laganà e il generale Pellegrini a Montebelluna per la Giornata della Legalità

“La mafia è come una malattia, aggredisce il corpo e il vaccino dobbiamo trovarlo dentro di noi”. Con questa frase, densa di significato, il prefetto di Treviso, Maria Rosaria Laganà, ha aperto la Giornata della Legalità di Montebelluna (alla quarta edizione) organizzata dall’assessorato all’Istruzione di Claudio Borgia.

Alla manifestazione, che si è svolta all’interno del Cinema Italia Eden, hanno partecipato alcune classi quarte del Liceo Veronese di Montebelluna, e, in videoconferenza, ben 41 classi degli istituti superiori della città. Ospite d’onore il generale dei Carabinieri Angiolo Pellegrini, comandante della sezione antimafia di Palermo dal 1981 al 1985 e uomo di fiducia del giudice Giovanni Falcone.

“Questa è un’amministrazione particolarmente sensibile alla legalità – ha introdotto l’assessore Claudio Borgia -Vi sono molti progetti, su questo tema, che coinvolgono i ragazzi delle scuole superiori e, soprattutto, medie. È un tema che unisce tutti nel combattere contro le ingiustizie e la violenza”.

“Parlare della legalità – gli ha fatto eco il prefetto Laganà – è importante perché stiamo inziando un periodo molto particolare che lascerà segni importanti sul tessuto socio-economico del Paese. Arrivano importanti risorse per uscire dalla pandemia e c’è la necessità che vengano utilizzate nel pieno rispetto delle regole. Risorse che sono elementi facilitatori per le infiltrazioni della criminalità organizzata, oramai dotata di una sua notevole capacità manageriale”.

“La criminalità è cambiata -ha aggiunto il prefetto -, prima era violenta ora è seduttiva. Si insinua tra coloro che riescono a comprendere essere disposti al compromesso. Le iniziative come questa partono dalla parte sana della società e soprattutto dalle scuole”.

Il generale ha raccontato agli studenti dei suoi anni trascorsi con il giudice Falcone, a Palermo e a Roma, narrando episodi e particolari che sono anche contenuti nel suo libro “Noi gli uomini di Falcone-La guerra che ci impedirono di vincere”, molto centrato anche sul ruolo che ha avuto il superpentito Tommaso Buscetta.

Una carriera, la sua, che ha avuto una svolta nel gennaio del 1981, quando gli hanno affidato il comando della sezione anticrimine di Palermo, Tempi in cui ancora si negava l’esistenza della mafia, anche da parte di professionisti e persino magistrati, ha detto il generale Pellegrini.

Con l’arrivo di Falcone, in soli 10 anni, si è arrivati alla sentenza della Corte di Cassazione in cui si disse che la mafia esiste e che il capo di tutta la Sicilia era Michele Greco.

“La mafia è diventata fortissima grazie al fatto che si è arricchita enormemente in quegli anni grazie soprattutto alla droga – ha detto il generale Angiolo Pellegrini – Solo a Palermo abbiamo trovato cinque raffinerie in cui si produceva morfina. Con gli Stati Uniti c’era un commercio di miliardi di dollari che poi venivano riciclati in Italia grazie alla corruzione di politici e imprenditori. Aveva stretto grossi legami con costruttori edili come Rosario Spatola. In una notte ottenne 4mila licenze edilizie da parte del sindaco di Palermo, distruggendo bellissime ville e piazzando al loro posto palazzine di 15 piani. Poi è iniziata la stagione dei cosiddetti omicidi eccellenti, da Boris Giuliano al capitano Basile, dove i responsabili, se presi, venivano assolti per insufficienza di prove”.

Poi il generale Pellegrini ha parlato dell’intuizione di Giovanni Falcone che ha reso possibile affibbiare un duro colpo alla mafia: “Falcone comprese subito che occorreva cambiare il modo di investigare. Pecunia non olet, i soldi non puzzano diceva, quindi diede indicazioni di andare nelle banche e di controllare i conti e i movimenti di tutti i personaggi in odore di mafia. La criminalità stava per finire sotto scacco, ma cambio strategia iniziando a cercare di delegittimare il pool antimafia. Il procuratore generale disse al capo di Falcone, Rocco Chinnici, che poi fu ucciso, di riferire al magistrato di smetterla di dar fastidio alle banche perché ‘sta rovinando l’economia siciliana’. Chinnici non lo ascoltò e chiamo Falcone, Borsellino e Di Lello, firmando la sua condanna a morte”.

In 44 notti – prosegue il generale Pellegrini – abbiamo scritto la prima relazione antimafia, in cui Il Papa, Michele Greco, era indicato come il capo della Mafia siciliana. Intanto sulla scrivania si accumulavano assegni su assegni, attraverso cui la mafia ripuliva il denaro sporco. Tommaso Buscetta portò le prove che la mafia esisteva ed era una società verticistica, con un capo a livello regionale”.

Poi la mafia stragista, per cercare di distrarre l’attenzione dello Stato sul terrorismo, come quella dei Georgofili e quella del Rapido 904 in una galleria dell’appennino emiliano.

Falcone creò poi il Comitato Italia-Usa per la lotta alla mafia, che di fatto stroncò il commercio di droga tra i due Paesi e sferrando un duro colpo alle casse della criminalità organizzata. Infine la Strage di Capaci e l’uccisione del giudice Borsellino.

All’evento erano presenti tutti comandanti dei vari comparti delle forze dell’ordine montebellunesi e diversi consiglieri comunali di maggioranza e di opposizione, oltre alla dirigente scolastica del Liceo Veronese, Rosita De Bortoli, con il suo vice Giuseppe De Bortoli e alcuni insegnanti dell’istituto.

(Foto: Qdpnews.it © riproduzione riservata).
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