Boom di presenze (ben 400 ascoltatori) all’incontro con la giornalista, scrittrice e documentarista Francesca Mannocchi, andato in scena ieri, sabato 14 settembre, nel parco di Villa Pisani a Montebelluna.
L’appuntamento rientrava nel programma di CombinAzioni Festival che per la decima edizione ha come tema: “We care. Verso una democrazia della cura”.
Mannocchi si occupa di conflitti in Medio Oriente e di migrazioni; premiata con riconoscimenti prestigiosi per le sue inchieste, collabora da anni con numerose testate giornalistiche italiane e internazionali, realizzando reportage da Iraq, Israele, Palestina, Libia, Libano, Siria, Yemen, Afghanistan, Egitto, Turchia e Ucraina.
“La guerra tra Russia e Ucraina richiede un discorso complesso – sottolinea Mannocchi -. Nell’ultimo anno abbiamo spostato l’attenzione su ciò che accade in Medio Oriente. Ora i russi sono ad un passo da luoghi che pensavamo sicuri. La strategia bellica dell’Ucraina è stata invadere una parte del territorio russo e ci è riuscita fino a pochi giorni fa. È stata una decisione superficiale. Se noi decidiamo di mandare le armi in Ucraina dobbiamo mandarle quando servono”.
“Mentre discutevamo sulle armi offensive e difensive – continua – i russi hanno realizzato centinaia di chilometri di trincee che hanno minato, rendendo quasi impraticabile la controffensiva della fanteria. Migliaia di bambini ucraini sono stati deportati. Prima di riempirci la bocca di facili slogan dobbiamo leggere lo stato del Paese che è stato invaso due anni e mezzo fa”.
Mannocchi ha evidenziato che l’estremismo si sta risvegliando in vari luoghi dal mondo, considerando gli attentati in Germania, in Siria, in Iraq e in altre nazioni.
“Prigioni e campi profughi sono luoghi d’elezione del radicalismo – sottolinea -. I territori palestinesi occupati sono luoghi in cui l’unico esempio che hanno avute le ultime generazioni ha come titolo la ‘liturgia del martirio‘. I bambini vogliono andare a morire perché hanno visto fare solo questo. Ora i gruppi armati sono formati da ‘ragazzini’ che hanno una concezione più nichilistica che politica”.
“Immaginiamo come stanno vivendo i bambini a Gaza – prosegue -. Tra 10 anni quale pensiamo possa essere il sentimento che animerà il loro cuore? Noi ci poniamo tante domande su come queste guerre devono finire, soprattutto per far cessare le violenze nei confronti dei bambini. Quando queste guerre terminano, però, di quegli stessi bambini ci dimentichiamo. Vivendo in un continente schizofrenico, vogliamo che la guerra termini il prima possibile, ma la fine dei combattimenti non coincide con l’inizio della pace”.
“La guerra non finisce quando si spengono le armi – aggiunge -. Questa lezione la storia ce l’ha data milioni di volte ma noi non impariamo mai. Vi racconto la storia di una ragazza israeliana di 21 anni, figlia di un elettore di destra, incontrata in una comunità beduina palestinese nella Valle del Giordano. Mi ha detto: ‘Sono stata per settimane dentro la narrazione israeliana e sentivo solo desiderio di vendetta'”.
“Un’amica – continua – le ha mostrato dei video da Gaza e lei ha detto: ‘Io i palestinesi non li conosco’. La sua amica le ha proposto di andare con lei nella Striscia di Gaza per rendersi conto di come vivono i palestinesi. Per la 21enne israeliana è stato come uscire da una visione distopica. Mi ha molto colpito questa testimonianza perché questa ragazza ha affermato: ‘Noi giovani israeliani siamo educati ad essere stupidi, ma non dal punto di vista nozionistico. Ci educano tutta la vita alla disumanizzazione dell’altro. Solo questo ti permette di perdere la pietà di fronte a 17mila bambini uccisi'”.
Mannocchi si è rivolta al pubblico dicendo di non affezionarsi troppo alle “storie minoritarie” che ci possono dare una speranza.
“Il cambiamento – ha detto – viene dal realismo che ci fa vedere le cose come sono veramente e non come vorremmo che andassero. Rispetto al mondo dell’informazione, credo sia cambiata la fruizione dei media generalisti. Oggi gli spettatori hanno la tendenza ad andare a cercare la trasmissione e lo scrittore di cui si fidano. Noi giornalisti dovremmo cercare di veicolare le informazioni con mezzi che magari non sono a noi congeniali”.
“Bisogna avere un’infinita cura delle parole – ha aggiunto -, del singolo aggettivo e sostantivo. L’informazione non serve per prendere una posizione ma per comprendere qualcosa di enormemente complicato. Dobbiamo capire cosa sta succedendo intorno a noi e per questo serva la cura delle parole. Dobbiamo raccontare più storie possibili e non possiamo descrivere l’oggi senza riannodare quello che è successo nel passato. Per questo bisogna studiare e informarsi bene”.
“Le categorie morali che valgono nella nostra parte di mondo – conclude – non è detto che valgano altrove. Dobbiamo tutelare il pensiero complesso perché, purtroppo, può soccombere di fronte a quello semplice. Sottraiamoci quindi alla discussione con persone che, soprattutto nei temi delicati, non si mettono in discussione”.
(Autore: Andrea Berton)
(Foto e video: Andrea Berton)
(Articolo e foto di proprietà di Dplay Srl)
#Qdpnews.it riproduzione riservata