Montebelluna abbatte “il muro” del Covid-19: il racconto del dottor Agostini, responsabile della terapia intensiva

È stato abbattuto il muro del reparto di chirurgia dell’ospedale San Valentino di Montebelluna, eretto per circa due mesi al fine di ampliare l’area di terapia intensiva da destinare all’emergenza Covid-19.

Inevitabile il richiamo alla mente dell’abbattimento di altri muri che hanno assunto valori simbolici per qualcosa di “buio” che ci siamo lasciati alle spalle. Anche in questo caso il significato intrinseco è elevato e può rappresentare l’inizio di una rinascita, di un risveglio dall’incubo in cui siamo sprofondati durante la fase acuta dell’emergenza sanitaria.

Sui social è un giovane medico del reparto rianimazione di Montebelluna, Filippo Testa, a pubblicare un video in cui si mostra alcuni addetti mentre smontano i pannelli che dividevano in due il reparto di chirurgia.

“Un muro – ricorda il dottor Moreno Agostini, responsabile del reparto di rianimazione e capo dipartimento dell’area critica – costruito in poche ore per poter aumentare i posti di terapia intensiva per far fronte all’emergenza sanitaria, dividendo a metà il reparto di chirurgia. L’abbiamo abbattuto per poter tornare alla normalità, per tornare a operare come prima, ma con la consapevolezza che, in caso di nuova necessità, si potrebbe ripristinare altrettanto velocemente”.

Il dottor Moreno Agostini si è trovato a gestire l’emergenza Covid-19 nel distretto sanitario montebellunese. Tutta l’equipe ospedaliera ha lavorato per due mesi con grande dedizione e per potersi riconoscere tra loro, imbardati nei dispositivi di sicurezza, sulle tute protettive spiccavano scritte a pennarello con i loro nomi, eventuali soprannomi e persino messaggi; da “Domani io ci sono” a “Ci sono sempre” a indicazioni sulle proprie qualifiche professionali. Su quella del dottor Agostini: “Ago, The Legend”.

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Un’esperienza professionale del tutto inedita, per lui come per i suoi colleghi in tutto il mondo. Come ci raccontano le statistiche, tuttavia, il Veneto e, nel particolare, il distretto sanitario di Montebelluna, sono riusciti a contenere e affrontare in modo più efficace la pandemia, registrando una bassa percentuale di mortalità rispetto ad altre zone di alta diffusione del virus in Italia e nel mondo. A cosa si deve tutto questo?

Si è avvertita fin dai primi momenti la gravità della situazione – spiega il dottor Moreno Agostini – e l’assoluta necessità di intervenire a livello organizzativo, in modo deciso e tempestivo. Determinante è stato il perfetto coordinamento a livello regionale e distrettuale, tra tutte le terapie intensive e le equipe di lavoro. Ci trovavamo di fronte a un virus del quale, nei primi giorni, non sapevamo praticamente nulla. Non si conoscevano terapie né protocolli, ci siamo trovati a dover gestire nuovi farmaci. Un lavoro molto complesso che ha coinvolto tutti gli operatori sanitari, medici, infermieri, Oss, farmacisti e laboratoristi, Tutti ha dato il loro contributo per affrontare il virus e ottenere il grande risultato di avere poche perdite in vite umane”.

La gestione, nel suo complesso, dell’emergenza è stata dunque alla base del risultato: “Tra il personale ospedaliero – spiega il dottor Agostini – i casi di positività sono stati registrati prima di entrare nella fase critica dell’emergenza. Quindi, attraverso continui studi e analisi che hanno coinvolto veramente tutti, si sono messe in campo le conoscenze acquisite, a seconda dei casi, e i risultati ci hanno dato ragione. Con il primo decesso per embolia polmonare, pur tuttavia senza avere conoscenza di altri casi, abbiamo deciso di anticoagulare tutti i pazienti che entravano in terapia intensiva. Le persone venivano ventilate per otto ore supini e per il resto della giornata proni. A livello farmacologico abbiamo utilizzato cortisonici, antireumatici, antinfluenzali e antivirali, immunoglobuline e, in qualche caso, il plasma. L’obiettivo era far restare il paziente il minor tempo possibile in terapia intensiva”.

Il peggio è passato?

Occorre non commettere l’errore di abbassare la guardia. Pensiero comune di chi ha vissuto da vicino questa esperienza è la paura che ritorni. Questo virus ha mutazioni molto rapide, serve molta cautela e soprattutto un’educazione alla sicurezza sanitaria che sta diventando attività quasi primaria nei confronti delle persone che arrivano in ospedale. La mascherina, le mani ben lavate, il distanziamento tale da non sottoporci a rischio, non sono una banalità. Il lavoro svolto da tutto il personale ospedaliero, compresi Oss e fisioterapisti, definirlo eccezionale è dir poco. Ora sta subentrando un attimo di stanchezza, in cui possiamo anche fare qualche riflessione, che non prescinde tuttavia dal prestare il servizio che garantivamo prima dell’emergenza e dal fatto che restiamo pronti per un’eventuale recrudescenza del virus. Tirare nuovamente su quel ‘muro’ sarà più semplice, anche se non sarà più facile”.

 

(Fonte: Flavio Giuliano © Qdpnews.it).
(Foto: per concessione del dottor Agostini).
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