È il 1921 e almeno un italiano su quattro veste in nero: per ricomporsi, la nazione ha bisogno di valori comuni, di alleviare la pressione politica e sociale, di elaborare il lutto. Quando per la prima volta il treno del combattente senza volto, nato dalle ombre dei soldati smaterializzati dalla battaglia, passa tra la gente, torna finalmente possibile esprimere il cordoglio, lanciare fiori, piangere le lacrime.
E quel viaggio, da Aquileia a Roma, rappresenta a detta degli storici la prima e l’ultima commemorazione di quel periodo nel quale il Milite Ignoto mantiene un’attenzione priva di interessi politici. “Uno per tutti”, sarebbe potuto essere lo slogan della figura del Milite Ignoto: un soldato di rango inferiore, un uomo del popolo, che ha perso il lembo di carta su cui era scritto il proprio nome nel fango e nel sangue chissà dove e chissà quando.
L’esposizione del Meve di Montebelluna dedicata a questo tema, che prende proprio il nome di “Uno per tutti”, propone un’analisi storiografica capace di mantenere un filo diretto con l’attualità e, al secondo piano di Villa Correr Pisani, anche con il futuro: la curatrice Irene Bolzon spiega come il Milite Ignoto sia stato, nei primi tempi del suo riconoscimento, un simbolo unificante per una penisola a pezzi, praticamente sull’orlo di una guerra civile. “Come storici, sappiamo che il Milite Ignoto unisce, ma anche che lo fa per un giorno solo. Già nel 1922 questa celebrazione comincia a venire strumentalizzata, mentre l’Italia si avvia verso l’esperienza del fascismo”.
Grazie ai momenti del 4 novembre, ripresi da più cineprese e proiettati al centro della stanza, il visitatore di questa mostra scopre la spontaneità delle folle nel salutare il caduto senza volto nel suo passaggio verso la tumulazione. Leggendo i pannelli espositivi scopre l’evoluzione del concetto di Milite Ignoto nel tempo arrivando a definire nel presente il diritto di ognuno di possedere un nome e cognome e, di conseguenza, un’identità. “Dal 1948 la Costituzione e il codice civile dice che ogni diritto ha un nome e cognome. Questo diritto, prima, non esisteva”.
“Oltre all’aspetto storiografico, abbiamo cercato dei linguaggi diversi – spiega la curatrice, – attraverso l’allestimento di un’opera d’arte contemporanea. Si tratta di “Edizione bianca” dell’artista Laura Omacini. Quando abbiamo compreso il significato dell’opera, anche nei confronti del rispetto universale, tributato ai momenti di lutto e di difficoltà della storia nazionale e non solo, abbiamo pensato che meritasse di stare all’interno di questo allestimento”. L’opera di Laura Omacini consiste in sessanta piastre bianche, rappresentanti le sezioni di un minuto o di un’ora: su ognuna di queste, la piega in alto a destra svela uno scorcio su un ricordo.
Al secondo piano del Meve, la classe 5B dell’Einaudi Scarpa indirizzo Grafica e Comunicazione ha aiutato ad allestire una seconda sezione dedicata a questo tema. Il risultato è una lunga serie di fotografie e lavori di grafica in cui viene interpretato in modo originale questo concetto: “Non volevamo fosse soltanto una commemorazione – spiega Irene Bolzon, – così abbiamo portato i ragazzi a riflettere, cercando di ripescare dalle loro esperienze ma anche da quelle famigliari“.
“Nelle foto che vediamo ci sono storie tirate fuori dai cassetti ma anche elaborazioni del loro modo di porsi. Hanno ragionato sulle nuove tecnologie e sulla smaterializzazione dell’identità attraverso i social. Hanno dimostrato di avere uno sguardo di elaborazione e analisi sul futuro. Hanno potuto dare una prospettiva sul domani“.
La rassegna degli eventi legati all’allestimento prevede un nuovo appuntamento l’11 novembre alle 20.45 al Teatro Binotto dal titolo “Grande Guerra a Processo” e il secondo il 18 novembre alla stessa ora e nello stesso posto, titolato “La Guerra Perpetua. Sguardo sui conflitti della contemporaneità”: il primo sarà un appassionante dibattito tra storici sul tema dell’interventismo in Italia con Gustavo Corni, Eva Cecchinato, Lucio De Bortoli, Paolo Pozzato, Livio Vanzetto; il secondo avrà come relatore Renzo Guolo, docente di sociologia delle culture e sociologia della politica presso l’Università di Padova.
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