Nel periodo di totale distanziamento sociale si è verificato un calo degli accessi in ospedale da parte di donne vittime di violenza, dovuto al fatto che è stato indicato a tutte le persone di non accedervi se non in casi di estrema gravità.
Tuttavia le richieste di aiuto, un po’ in tutta Italia, sono cresciute in modo esponenziale.
A dirlo è la dottoressa Catia Morellato, viceprimario del Pronto soccorso dell’ospedale San Valentino di Montebelluna e componente del Tavolo di coordinamento regionale per la prevenzione e il contrasto alla violenza contro le donne.
Nell’intero Distretto sanitario di Asolo (nel periodo febbraio-aprile) gli accessi per maltrattamenti sono passati da 59 nel 2019 a 34 del 2020 (a Montebelluna i 27 del 2019 sono scesi quest’anno a 18).
“Le donne, se sono conviventi, hanno ancora meno libertà di movimento. – spiega la dottoressa Morellato – Sono controllate negli spostamenti, nelle telefonate, sono controllate qualsiasi cosa decidano di fare. Anche nei Centri antiviolenza i nuovi accessi si sono ridotti, ma hanno continuato a mantenere contatti con le donne che erano già in carico. Era importante mantenere la continuità. La donna che ha paura di subire ritorsioni dal maltrattante fa già fatica a tenere un percorso lineare di uscita. In situazioni di questo tipo, in cui è costretta a convivere 24 ore su 24 con una persona che la umilia, che la maltratta, la donna subisce non solo la violenza fisica, più facile da identificare, ma anche quella psicologica, la più subdola, quella che annienta la volontà di chi la subisce. Anche la violenza economica molte donne non denunciano, perché abituate ad avere a disposizione denaro e si adeguano al fatto che il marito le mantiene. Una cosa è condividerla questa scelta, un’altra cosa è subirla”.
Tra le mura domestiche vi è poi un altro tipo di violenza, quella subita dai minori che convivono all’interno di una situazione famigliare critica e che spesso assistono ai maltrattamenti subiti dalla loro figura di riferimento, che è la madre.
Nelle situazioni più gravi loro stessi subiscono violenza, anche di tipo sessuale, come, purtroppo è noto.
“La maggior parte delle volte – dice la dottoressa Morellato – sono bambine e bambini che assistono all’abuso e al maltrattamento nei confronti della madre. Questo provoca conseguenze indelebili. I bambini che vivono episodi di violenza all’interno di una famiglia hanno gli stessi sintomi da stress post-traumatico che hanno i soldati che tornano dopo una guerra”.
Esistono, anche sul nostro territorio, strutture che accolgono anche gli uomini maltrattanti. Strutture in cui i soggetti che usano la violenza, fisica e psicologica, nei confronti della donna, vengono accompagnati attraverso un percorso, a volte anche molto lungo, di cambiamento.
“A Montebelluna siamo fortunati sotto questo aspetto – spiega la viceprimario del pronto soccorso – perché la stessa cooperativa del Centro antiviolenza accoglie anche gli uomini che sono autori di violenza. Vi sono altri centri di accoglienza per uomini maltrattanti anche a Padova, a Mestre, a Belluno. Non sono molti, ma la Convenzione di Istanbul, che l’Italia ha ratificato nel 2013, dice che bisogna non solo accogliere le donne ma fare anche prevenzione, e questa è anche aiutare gli uomini che agiscono con violenza a modificare il loro comportamento”.
“Ricordiamoci – sottolinea Catia Morellato – che la violenza è una scelta di chi agisce. Quando si parla di raptus sono solo bugie. I giornalisti hanno un ruolo fondamentale in tutto questo perché spesso la narrazione della violenza è tossica ed è un’ulteriore vittimizzazione della donna. L’amore violento è un controsenso. L’amore non può essere violento. Chi arriva a uccidere una donna non lo fa certo perché la ama e c’è una premeditazione in tutto questo. Ha una volontà ben precisa di farlo. Dietro quell’attimo finale c’è sempre tutta una serie di maltrattamenti, vessazioni e umiliazioni. Non sempre la parte fisica, come detto, è predominante”.
La violenza di genere, secondo uno studio dell’Oms, rappresenta nel mondo la prima causa di morte delle donne di età compresa tra i 16 e i 44 anni.
Esistono dei campanelli d’allarme che avvertono tutto ciò e come voi che operate per contrastarli potete riconoscerli?
“La cosa più semplice è fare una semplice domanda diretta. – spiega Morellato – ‘Ma va tutto bene a casa?’. Le violenze famigliari sono diventate un argomento che soprattutto noi medici di pronto soccorso siamo tenuti a tenere in considerazione e a porre come diagnosi differenziale rispetto alle altre patologie”.
(Fonte: Flavio Giuliano © Qdpnews.it).
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