Nervesa della Battaglia, quasi settemila abitanti, è situata sulle propaggini occidentali del Montello, dove il Piave inizia la sua lunga corsa attraverso la pianura veneta.
A Nervesa, più che altrove, si coglie l’eredità culturale dell’antica Roma.
Della centuriazione abbiamo parlato in più circostanze dunque ci limitiamo a ricordare che Nervesa era racchiusa, almeno in parte, nella suddivisione agricola – territoriale della campagna attorno a Treviso. Il toponimo risulta essere un prediale, nome geografico derivante da quello di un antico proprietario, tale Nerva o Nervinius: una circostanza che accomuna Nervesa con Nerviano, comune alle porte di Milano la cui denominazione discende da un omonimo possidente.
Nervesa, attestata nel 994-996 come “Nervesia” e nel 1138 come “Nervisia” o “Narvisia”, dal 1923 acquisisce la specificazione “della Battaglia” a ricordo dei sanguinosi scontri del giugno 1918 e di un’epopea di drammatici sacrifici per i quali il comune è stato insignito della Medaglia d’Oro al Valor Civile.
Avventurarsi alla scoperta del territorio significa riscoprire vestigia romane e medievali, sostare nei luoghi simbolo della Grande Guerra come il monumentale sacrario del Montello o il sacello di Francesco Baracca, ripercorrere i sentieri dei bisnent, i poverissimi abitanti del luogo costretti a rubare la legna per sopravvivere. Generazioni di gente talmente sfortunata che, dopo la caduta della Serenissima, si videro assegnare appezzamenti disboscati ma privi di acqua e dunque inutili. Da qui il gioco di parole bisnent – due volte niente – metafora del più noto “si stava meglio quando si stava peggio”.
Affascinati dalle evoluzioni dei velivoli storici della fondazione Jonathan fra i quali spicca la replica del leggendario SPAD XIII del maggiore Baracca, raggiungiamo i ruderi dell’abbazia di Sant’Eustachio, monastero benedettino edificato attorno al Mille e salvato dal degrado grazie anche alla generosa lungimiranza di un imprenditore locale. Qui, oltre a una colonna romana, è stata ritrovata la tomba di un liberto romano, un uomo che affrancatosi dalla schiavitù aveva forse ottenuto un podere come il Nervinius che abbiamo incontrato all’inizio.
Sotto le volte di Sant’Eustachio, dalle quali si intravedono spicchi di un cielo azzurrissimo, solleviamo un calice di bianco che porta lo stesso nome dell’abbazia. Questa volta il consueto brindisi al territorio e ai suoi abitanti segue regole ben precise: teniamo il calice dallo stelo, non roteiamo impetuosamente il vino e non facciamo tintinnare i bicchieri. Signori, in questo luogo cinquecento anni fa, monsignor Giovanni della Casa ha scritto il suo celebre Galateo!
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