Gioele Bravin, classe 2000, e suo nonno materno Arturo Bolzon (ma che tutti, per qualche motivo, chiamano Marco), classe 1938, hanno gli stessi occhi. E le loro esperienze, nonostante il contesto storico, non sono poi tanto diverse: entrambi hanno messo (e mettono ancora) il massimo impegno nel proprio lavoro, che entrambi definiscono anche una passione.
Entrambi hanno avuto un nonno, che nel caso di Arturo portava il suo stesso nome, che ha insegnato a loro le basi di come ci si approccia alla terra e di come si lavora con le risorse del territorio. Gioele aveva diciannove anni quando è diventato socio dell’azienda agricola: una responsabilità, appena dopo il diploma al Cerletti di Piavon, che ha accettato con la volontà di convertire la vendita di vino sfuso, già capillare per i Bolzan, in una produzione adatta anche ai giovani come lui, quindi in bottiglia e bag-in-box.
Dopo un improvviso male, Arturo è “fuggito” dall’ospedale pur di garantire a suo nipote (a quel tempo solo diciannovenne) di entrare in società: in quel periodo la Bolzan aveva bisogno di nuove energie, giovani e creative. Da lì è iniziata la ricostruzione di alcuni vigneti, l’apporto di tecnologie (ma la maggior parte delle operazioni si svolge ancora a mano) e la conversione vera e propria dell’azienda in una realtà più moderna.
Bolzan, un affare di famiglia
A mandare avanti l’azienda agricola Bolzan, a Fossalta Maggiore, non sono soltanto gli uomini: quando le vigne chiamano, tutta la famiglia risponde. La sorella di Gioele, Greta, che lavora in una clinica, viene spesso a dare una mano e la mamma, Serena, è la persona di riferimento per tutta la parte amministrativa e contabile dell’azienda. Anche Valentino, il papà, non si tira mai indietro. Entrando nella loro realtà produttiva si percepisce quell’umiltà che contraddistingue le attività di famiglia, di cui il nonno “Marco” ci racconta con orgoglio le origini.
“Mio nonno Arturo (quindi il trisavolo di Gioele) è partito per l’America e, quando è tornato, si è messo a commerciare bestiame con i suoi fratelli. Con lui ho imparato ad andare nei campi e col tempo ho imparato ad arrangiarmi. Avevamo già anche del vino, ma non era la nostra attività principale. Col tempo abbiamo messo su anche un allevamento che negli anni Sessanta ammontava a cinquemila galline. L’alluvione del ’66 ha distrutto tutto, così abbiamo deciso di farci tutto da noi. Anche il vino”. I Bolzan riuscirono così ad arrivare a produrre una quindicina di varianti di vini, esportandone in buone quantità in tutt’Italia.
Fiore di Sampà, la Marzemina bianca secondo Gioele
Il prosecco non è mai stato il prodotto di punta per i Bolzan e, forse per distinguersi, Gioele ha puntato sulle sue viti a bellussera, alcune delle quali cominciano ad avere più di quarant’anni: recentemente, il giovane ha avuto la soddisfazione di vedersi valorizzato per la sua interpretazione di Marzemina bianca, per il quale, ammette, c’è un problema di definizione. Non a caso il nome “Sampagna” risulta essere tradizionale nell’area del trevigiano e nel vicentino.
“La mia non è una novità – precisa subito Gioele, mostrando rispetto verso chi prima di lui ha riscoperto e tentato di promuovere questa varietà – è soltanto il mio modo di fare un vino autentico della tradizione, che la mia famiglia aveva già a metà del Novecento. Un vino che ho voluto chiamare Fiore di Sampà. È una produzione minima, di circa 660 bottiglie, un nuovo progetto che sto cercando di portare avanti mantenendo una qualità elevata, come tanti altri produttori di questo territorio che non vogliono far perdere questo nome”.
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