Convinto di aver ricevuto l’ordine dall’ammistratore delegato un impiegato amministrativo di una nota azienda della zona, invia un bonifico da 200 mila euro in Turchia, ma era opera di un gruppo di hacker. Una truffa senza precedenti per l’entità dell’importo che ha rischiato di finire nelle tasche di anonimi truffatori sulle cui tracce c’è ora la Polizia Postale. È accaduto a Pederobba martedì scorso: l’amministratore delegato è a pranzo, quando riceve una mail dall’ufficio amministrativo nella quale viene confermata la buona riuscita di due bonifici di cui era del tutto ignaro. Ritornato di corsa in sede l’imprenditore chiede spiegazioni al responsabile che indica di aver effettivamente eseguito l’operazione per un valore complessivo di circa duecento mila euro in seguito a una mail che avrebbe ricevuto dall’account di posta elettronica del titolare. Non abituato a richieste di bonifico così massicce ma sicuro della diretta corrispondenza, l’impiegato effettua nel corso della mattinata entrambi i bonifici, intestando l’ingente somma a una società che non conosce, con sede in Turchia.
Nell’esaminare il carteggio tra le caselle mail, in effetti, viene riscontrata una provenienza interna: il mittente dell’ordine di bonifico riporta esattamente l’indirizzo del titolare. Nel testo viene riscontrata la stessa naturalezza e informalità con la quale in genere i due uffici comunicano, segno forse che l’account era monitorato da tempo: in una prima mail viene chiesto a quanto ammonti la disponibilità massima per un bonifico urgente all’estero e, in seguito alla risposta dell’impiegato, la richiesta di eseguirne due al più presto e a valore massimo.
Il titolare capisce rapidamente che si tratta di una truffa informatica e non di un errore contabile o di un pagamento straordinario. Tempestivamente viene richiesto un blocco del bonifico alla banca, che in primo luogo nega l’operazione poiché il bonifico è stato eseguito online, tramite un intermediario. La banca, inoltre, dichiara che il denaro è già sotto disponibilità di un fondo turco e che sarà necessario proseguire al recupero tramite autorità internazionali.
Il titolare provvede a informare la polizia postale dell’accaduto e in rapida sequenza mobilita telefonicamente anche alcuni funzionari nella banca di fiducia. In pochi minuti, la denuncia è formalizzata e l’ufficio della Polizia Postale di Treviso si mette al lavoro nonostante l’orario, attivando tutto il complicato processo necessario per il recupero delle somme e lo smascheramento dei malfattori. Grazie alla rapidità delle operazioni a distanza di tre soli giorni, le somme intere al netto di semplici costi di commissione per fortuna sono state integralmente accreditate al conto corrente della società truffata. Anche se il denaro è stato recuperato, l’indagine per rintracciare i truffatori è appena iniziata.
L’ammontare della cifra recuperata in extremis rappresenta un primato, almeno in Veneto, sebbene casi simili possano essere riscontrati in molte altre realtà, dalla dimensione privata a quella aziendale. A fronteggiare questi truffatori del web, oramai capaci di penetrare anche in piattaforme sicure come dovrebbe essere la casella e-mail di un amministratore delegato, ci sono gli uffici della Polizia Postale, che il titolare dell’azienda tirando un sospiro di sollievo elogia per efficienza e disponibilità: “Sinceramente ritengo che queste persone, celate dietro l’anonimato del loro ufficio meritino il massimo rispetto e un ringraziamento speciale” – dichiara – “dovremmo tutti avere la massima riconoscenza per la dedizione e la passione con la quale svolgono il loro lavoro. Per contrastare questo fenomeno sempre più diffuso è opportuno che le aziende adottino adeguati sistemi di protezione, senza trascurare la formazione del personale attraverso dei corsi programmati di cybersecurity. Non per ultimo, inoltre, sarebbe opportuno stipulare un’assicurazione contro le frodi informatiche in modo da essere protetti anche in casi sfortunati come questo”.
(Fonte: Luca Vecellio © Qdpnews.it).
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