Anziani soli, famiglie indebitate e proprietà che cadono a pezzi: il co-housing come soluzione a tre incognite del futuro

Anziani soli e lasciati a se stessi, famiglie annegate nelle difficoltà economiche e proprietà immobiliari che cadono a pezzi nell’impossibilità di mantenerle: tre temi che tra loro hanno un rapporto diretto e che descrivono uno scenario nel futuro piuttosto difficile per il nostro Paese, specie dopo una pandemia e in pieno aumento dei costi.

In Italia, secondo paese al mondo per aspettativa di vita, circa 14 milioni di persone hanno più di 65 anni: un fenomeno esponenzialmente in crescita, che nel 2035 vedrà un incremento del 31%.

La ricerca condotta da Vittorio Zaglia e sua moglie Elisabetta, di Pieve del Grappa, che hanno studiato con grande trasporto la soluzione del co-housing, già adottata in altri Paesi, ha rilevato che gli anziani in Italia soffrono di più rispetto che altrove.

Lo studio degli Zaglia spiega come al contempo le famiglie si trovino a dover fronteggiare l’onere dell’assistenza ai genitori, anche se la natalità attuale (1,32 figli per donna) renderà gli anziani sempre meno seguiti dai propri figli: così, la non autosufficienza parziale o completa viene affrontata ricorrendo alla residenza sanitaria assistita, con un giro d’affari di circa 12 miliardi di euro all’anno (spesso privatizzati), o ricorrendo al mercato delle badanti (circa due o tre milioni in Italia).

Per quanto riguarda le proprietà, poi, in Veneto circa l’83,7% degli anziani sono proprietari della casa in cui vivono: molte però sono vetuste, perché non c’è disponibilità finanziaria né volontà nel manutentarle, nemmeno per renderle comode per trascorrervi l’anzianità. “Basti pensare che ben il 76% delle case abitate da anziani è priva di ascensore” spiegano.

Il co-housing, che è nato in Danimarca nel ’64, viene descritto come un sistema capace di permettere di vivere in maniera autonoma e indipendente, ma allo stesso tempo solidale e sostenibile, quindi semplicemente meglio.

“Si tratta di un modello abitativo basato sulla collaborazione reciproca, – spiega Vittorio Zaglia a una conferenza dell’Università Popolare dell’Asolano – scelto volontariamente da persone che – pur non rinunciando alla propria autonomia e indipendenza –desiderano partecipare a un progetto di vicinato solidale, condividendo alcuni spazi abitativi comuni”.

Di co-housers esistono vari modelli, ma sostanzialmente si può trattare di un gruppo di giovani famiglie che si unisce in una cooperativa, costruisce o riadatta una struttura esistente dove poi va ad abitare. Gli abitanti diventano proprietari della porzione indipendente di ciascuna unità abitativa e in quota parte degli spazi comuni (come in un condominio). Oppure, di un ente pubblico o privato che mette a disposizione le unità abitative a fronte di un affitto.

“Per il successo di ogni co-housing è fondamentale creare un gruppo di persone che si intenda, condivida interessi e stili di vita e che sia disposto a partecipare con altre persone a momenti collettivi della giornata – aggiunge Zaglia, portando anche un esempio di un “colmello-solidale” nell’Asolano, per il quale nel 21 è stato portato avanti anche uno studio di fattibilità – È stato valutato che il trasferimento in un co-housing ridurrebbe di almeno il 20% il costo della vita, in quanto molte spese potrebbero essere affrontate insieme, tramite acquisti solidali di beni e servizi”.

“Favorire soluzioni di co-housing fra persone vicine per età e condizione economica, culturale e sociale offrirebbe un vantaggio anche per le amministrazioni pubbliche, da una parte andando incontro al benessere della popolazione anziana, in costante tendenza di invecchiamento e dall’altro liberando ingenti porzioni abitative (oggi occupate solo parzialmente da proprietari anziani), da offrire come risposta alle esigenze abitative di famiglie giovani e numerose”.

“Da tutto quanto abbiamo analizzato finora – concludono gli Zaglia, invitando il pubblico ad approfondire consultanto l’Auser – risulta evidente la necessità di un cambio di passo radicale nel sistema di assistenza agli anziani, che dovrà essere sempre più di tipo “integrato” fra bisogni sociali e sanitari”.

(Foto: Archivio Qdpnews.it).
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