Animali selvatici: chi se ne prende carico e come gestirli? Il biologo Renato Semenzato: “La soluzione è una gestione consapevole delle popolazioni animali”

Un forte approccio di wildlife managment potrebbe ridurre le problematiche per le comunità che si trovano a stretto contatto con le aree boschive. Ad oggi ancora non è chiaro come comportarsi e come tradurre in positivo, incontri anche ravvicinati, con i grandi mammiferi.

A spiegare come mai stiamo assistendo a una presenza diffusa di fauna selvatica e perché non siamo in grado di arginarla efficacemente è Renato Semenzato, biologo di fama nazionale che da anni tratta e gestisce da vicino questo genere di questioni, che intaccano diverse sfere, da quella sociale, a quella biologica a quella normativa.  

“Bisogna chiarire che noi non abbiamo a livello italiano un’esperienza o una reale tradizione nella gestione del cinghiale e degli ungulati in generale. Nel periodo tra le due guerre mondiali queste animali hanno subito una grande diminuzione di esemplari, fatto riconducibile alle durissime condizioni socio economiche delle nostre genti a cavallo dei due conflitti. La crescita della popolazione degli ungulati come il capriolo, cervo o cinghiale quindi non è chissà quanto lontana: è avvenuta sostanzialmente dagli anni ’70, quando dopo la guerra c’è stato un periodo di lenta crescita accompagnata da molte reintroduzioni, bisogna precisarlo“.

Il cinghiale in particolare è stato sostenuto nella sua proliferazione anche dal mondo venatorio, fa sapere Semenzato, e dall’esplosione demografica dovuta all’aumento della superficie boscata.

Quest’ultima è cruciale per lo sviluppo demografico degli ungulati: l’abbandono delle zone alte, cioè quelle alpine e appenniniche, in favore della pianura, ci ha di fatto messi di fronte a una netta espansione dei boschi (fenomeno del tutto naturale)” e questo chiaramente favorisce la proliferazione degli animali selvatici, e con loro a ruota anche i predatori” continua Semenzato.

Per controllare efficacemente le problematiche legate alla crescita della popolazione degli ungulati, il biologo precisa che è necessario un forte approccio scientifico alla conoscenza dei principali parametri biologici delle popolazioni: “Ad oggi il cinghiale è in netta espansione nonostante tutte le misure di abbattimento adottate, bisogna perciò ripensare, con dei progetti di lunga durata almeno decennali, una gestione prettamente scientifica del cinghiale”.

Le catture con apposite trappole sono molto efficaci per il controllo numerico ricorda Semenzato, mentre l’abbattimento diretto va affidato a personale molto preparato che ha seguito appositi corsi formativi in quanto la tipologia di armi utilizzate coinvolge l’ambito delicatissimo della sicurezza pubblica.

Questo perché si usano armi e munizioni molto potenti e non alla portata di tutti. L’obiezione sorge spontanea: l’attuale legge nazionale e regionale prevede già delle stagioni di caccia e delle deroghe, come mai allora se sono già in atto dei programmi di abbattimento non si risolve il problema?

Semenzato chiarisce che vi sono aspetti sociali e di applicazione di principi scientifici che vanno contestualizzati localmente, come si fatto efficacemente al Parco Regionale dei Colli Euganei (PD) grazie alla condivisione con l’assessore regionale Giuseppe Pan.

Le popolazioni di ungulati (capriolo, cervo, cinghiale.. ) che si stanno avvicinando sempre più spesso al tessuto urbano, facendosi vedere anche in orari diurni non sarebbero in fuga dai predatori o alla ricerca di cibo: stanno al contrario espandendo le proprie aree di insediamento.

È sbagliata, spiega Semenzato, l’idea che questi animali stiano soffrendo e stiano venendo privati del loro habitat tanto da essere costretti a scendere a valle: in realtà è l’esatto opposto. Con l’aumento della superficie boscata queste specie colonizzatrici si trovano, dopo tanto tempo, in numero adeguato alla potenzialità dell’ambiente e liberi di spaziare ed esplorare nuove aree, sta quindi a noi trovare una forma di convivenza. Questo fa chiarezza anche sulla figura del lupo: non è fondata la diceria secondo cui i lupi stanno proliferando riempiendo i nostri boschi tanto da far scappare gli ungulati.

“Il lupo semplicemente segue le sue prede, quindi è una legge di carattere ecologico il fatto che insieme all’aumento degli ungulati le comunità si trovino a fare i conti anche con i lupi, è la prova provata della catena alimentare. Precisiamo poi che il lupo non è mai stato reintrodotto nelle nostre aree perché fa talmente tanta strada da solo che non è necessario intervenire”.

Per esempio, spiega Semenzato, nella nostra Regione si è insediata dal 2012 una coppia di lupi dove la femmina è di origine appenninica e il maschio proviene dalla Slovenia: “Spesso ci dimentichiamo che gli animali selvatici possono fare molte più strada di quello che pensiamo. Anche 1200 km: non è niente di strano”, quindi non dobbiamo stupirci se vediamo i lupi attraversare il fiume Piave: non li abbiamo mai visti prima solo perché stanno seguendo i grandi numeri di ungulati, prima assenti nelle nostre zone.

La questione degli allevatori e delle predazioni sui domestici arriva di conseguenza ed è molto delicata: per il biologo è fondamentale aiutare e sostenere gli allevatori in tutti i modi possibili stando loro vicino, condividendo, passo dopo passo, le misure e le strategie per contenere le predazioni.

“Siamo purtroppo inondati di fake news su  questo grande predatore creando dei pregiudizi e timori che si manifestano in un rifiuto preconcetto”. Bisogna quindi intervenire a livello sociale e parlare apertamente, con competenza e cognizione di causa, alle comunità che vivono a contatto con le aree di colonizzazione del lupo: cosa fa, come mai è tornato e cosa comporta senza farsi condizionare da paure ottocentesche. 

Fondamentale è quindi mediare culturalmente e mitigare le paure infondate nei confronti di questo animale: “Viene visto come un animale problematico, ma ha un ruolo ecologico fondamentale che è cruciale nel controllare numericamente i cervi (vedi Cansiglio) e i cinghiali, quindi ci interessa molto da vicino. Allo stesso tempo è chiaramente importante e doveroso gestire la rabbia di chi vede i propri animali decimati: bisogna dare a questi allevatori tutti gli strumenti e le conoscenze utili a evitare che i lupi uccidano gli animali domestici”. Semenzato aggiunge che in assenza di sistemi di prevenzione è “normale” che il lupo attacchi le greggi per una questione molto banale: sono molto più facili da uccidere rispetto a un cinghiale o un cervo. Bisogna quindi dare agli allevatori le competenze materiali e culturali ed una reale consapevolezza che i recinti elettrici e i cani da pastore ben gestiti e selezionati riducono di molto le predazioni. Allo stato attuale sono le uniche metodologie per ridurre le predazioni per una coesistenza pacifica, perché d’ora in poi, conclude,  non si può pensare di non averci a che fare: una convivenza sarà l’unica opzione.

Tutto quello che c’è da sapere su come si possono proteggere i propri pascoli e animali domestici in prossimità di aree frequentate dai lupi si può trovare in questi siti altamente specializzati: http://www.lifewolfalps.eu/; http://www.protezionebestiame.it/; http://www.protectiondestroupeaux.ch/it/; http://www.difesattiva.info/; https://pasturs.org/; https://pasturs.org/ .

(Foto: web).
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